Grande è la confusione sotto il cielo
della politica. Anche i sassi sanno che il dominus della politica
continuerà ad essere, anche nella prossima legislatura, Mario Monti:
come Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica o in ogni
caso con la sua agenda ovvero con quelle irreversibili, nelle
intenzioni dei poteri forti italiani e internazionali, linee di
politica economica e sociale che si fondano sullo smantellamento
dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori, sull'austerità e
sul rigore finanziario, sulle privatizzazioni e sulla riduzione del
ruolo dello Stato. Non si tratta di chiacchiere o ipotesi
complottiste ma della semplice constatazione che nessuna delle
coalizioni che hanno qualche possibilità di raggiungere la
maggioranza relativa alle prossime elezioni propone di tornare
indietro sulla riforma delle pensioni, sull'articolo 18, sul fiscal
compact e l'impegno a perseguire il pareggio di bilancio e la
drastica riduzione del debito pubblico.
Eppure i due galli del PD, Renzi e
Bersani, e Vendola si accapigliano per affermare il proprio progetto
politico, solo aria fritta stando le premesse montiane, attraverso la
conquista della leadership di un centrosinistra che peraltro non
potrà mai avere i numeri per governare da solo il Paese. E
contemporaneamente nell'opposizione radicale, questa è la mia
impressione, Landini e la Fiom attendono l'esito delle primarie,
concedendo un'ultima chance a Vendola prima forse di farsi promotori
in prima persona di una iniziativa elettorale, ALBA e Di Pietro
attendono Landini (anche se Di Pietro, almeno a parole, non chiude né
a Grillo né al PD), Ferrero attende Vendola, Landini, Alba e Di
Pietro.
Mentre a destra da un lato i seguaci di
Monti fanno proliferare (UDC e FLI, Giannino, Montezemolo) le
iniziative per rastrellare uno straccio di consenso che il grigio
professore della Bocconi non sarebbe mai in grado di raccogliere da
solo e dall'altro Berlusconi lancia l'unica proposta diabolicamente
sensata, quella di riunire le varie anime della destra, per
riproporre il teatrino della contrapposizione progressisti-moderati,
unica possibilità per ridimensionare il voto alle forze anti-sistema
e mettere le basi per riproporre anche dopo il 2013 la stessa
maggioranza attuale pro-Monti.
Credo che il PD e Vendola dovrebbero
ancora una volta ringraziare il padrone di Mediaset.
La confusione dilagante è dimostrata dal fatto – come se le esperienze dei governi dell'Ulivo, dell'Unione e
di Monti non avessero insegnato nulla – che hanno ricominciato ad
alzarsi gli appelli al voto utile, a ricostruire la trincea dei
progressisti contro il pericolo Renzi (visto che il baubau Berlusconi
non funziona almeno per il momento) e ad operare per spostare un
po' più a 'sinistra' la coalizione di PD e SEL. Come se Renzi,
Bersani e Vendola si proponessero di governare in modo radicalmente
diverso tra loro. Come se dopo un governo che, usurpando e infangando
gli ideali e i valori della sinistra, continuasse a lasciare l'Italia
commissariata dalla troika e dai mercati non vi fosse altro sbocco
che un ritorno della destra più feroce o addirittura di forme
nazi-fasciste come sta succedendo in Grecia con Alba dorata. E lo
dimostra che vengano presi sul serio persino gli editoriali
di Asor Rosa, per intenderci quello che auspicava un colpo
di stato militare contro Berlusconi, affinché si faccia fronte
comune, in nome del male minore, contro Renzi.
Ma a destra si agitano anche gli
anti-Monti e gli anti-sistema: i fascisti anti-Banche di Forza Nuova
e Casapound, cosa del resto in continuità con la retorica
anti-plutocratica del ventennio (anche se vale sempre la pena di
ricordare che nella realtà il fascismo bastonava i lavoratori per
favorire i padroni), con l'intermezzo grottesco dello Scilipoti che
denuncia il potere finanziario in compagnia di Sara Tommasi e Alfonso
Marra; la Lega naturalmente dopo l'allontanamento dalle comode
poltrone romane (e per inciso appare vergognoso che dopo vent'anni in
cui ci hanno presentato il federalismo come il sol dell'avvenire e la
questione settentrionale come il problema centrale del nostro Paese
ora si assista al coro unanime di politici e opinionisti contro il
federalismo e il regionalismo, contraddicendo spudoratamente
posizioni sostenute fino a poche ore prima).
Così si può assistere alla
trasmissione L'ultima Parola dell'ex direttore della Padania e
giornalista di Libero e del Giornale Gianluigi Paragone, in RAI su
indicazione della Lega, divenuta la tribuna dei più radicali
alternativi: Paolo Barnard, Messora, Giulietto Chiesa e via dicendo.
E' evidente che appare utile a leghisti e berlusconiani screditare il
PD, di fatto il principale sostegno di Monti, e contribuire ad un
clima culturale di contrasto delle tasse e dell'Unione europea e
così, fenomeno di eterogenesi dei fini, si riesce a
far passare anche in televisione qualche briciolo di verità o almeno
di opinioni fuori dal coro.
E da ultimo, sempre nell'area dei
contestatori di Monti, Giulio Tremonti, classe 1947, che dopo il
divorzio (?) da Berlusconi tenta di dare un seguito alla propria
carriera politica fondando la sua personale lista (“Lavoro e
Libertà”). E' inevitabile ironizzare sull'atteggiarsi a
fustigatore delle degenerazioni della finanza e dei mercati di colui
che ha avuto in mano per almeno dieci anni nell'ultimo ventennio le
finanze e l'economia dell'Italia, sotto i governi delle destre. E'
incontestabile che Tremonti, a chiacchiere, ha sempre puntato il dito
contro la globalizzazione, l'architettura dell'euro, la dittatura
della finanza ma la storia personale del commercialista di Sondrio
dimostra che egli è andato nella direzione opposta a quella che
vuole accreditare e se c'è qualcosa che gli si può riconoscere è
la voracità e la disinvoltura con cui è sempre riuscito a
posizionarsi sulle poltrone che contano. Consulente del PSI craxiano
(e il capolavoro di quel periodo fu il suo contributo alla
configurazione dell'otto per mille alla Chiesa cattolica
assicurandogli erogazioni a carico dello Stato e dei cittadini di
anno in anno crescenti in quanto indicizzate al complesso degli
introiti dell'IRPEF), eletto nella lista Segni ma pronto a saltare
sul carro di Berlusconi nel 1994 in cambio del Ministero delle
Finanze, grande mediatore tra la Lega e Forza Italia per
ricostituirne l'alleanza elettorale che ha dominato l'Italia in
questi ultimi decenni, ideatore della finanza creativa e dei tagli
lineari, autore di leggi finanziarie recessive e dirette a
penalizzare i ceti popolari, dei condoni a ripetizione che premiavano
evasori ed esportatori illegali di capitale, più volte invitato alle
riunioni del Bildenberg, protettore del deputato Marco
Milanese, pronto a dare esecuzione, se non fosse stato esautorato
insieme al suo governo, alla lettera della BCE e di Draghi (peraltro
ispirata all'interno stesso del governo Berlusconi).
Sul quadro politico italiano e sulle
prospettive future incombono poi le elezioni americane, la sfida tra
Obama e Romney: dal 1994 vi è sempre stata una una corrispondenza,
tra USA e Italia, tra le vittorie del partito democratico e quelle
del centro sinistra e e tra la prevalenza del partito repubblicano e
il successo elettorale delle destre.
Ora in questa confusione bisognerebbe
poter rimettere le cose in ordine.
Respingere anzitutto la teoria degli
opposti populismi (Grillo o chi da sinistra contrasta e critica
l'euro e l'Unione europea da un lato e la destra di Tremonti, Lega e
Berlusconi dall'altro) attraverso cui, mettendoli tutti sullo stesso
piano, non discernendo tra le rispettive analisi e motivazioni, si
vuole valorizzare le juste milieu di Mario Monti.
Segnare una ideale linea di
demarcazione per separare chi è convinto che il sistema economico si
fonda necessariamente sul profitto e sulle leggi del mercato a cui
vanno subordinati i bisogni delle persone e chi invece crede che sono
questi, in un contesto etico basato sulla giustizia, sull'uguaglianza
e sulla libertà, che devono ispirare le scelte economiche e
produttive.
E per non continuare a cadere nel
tranello di considerare di volta in volta questa o quell'entità,
questo o quel personaggio il paladino della legalità e del bene
comune o l'ostacolo, magari a sua insaputa, all'esproprio della
sovranità nazionale prendere atto, questa è la mia interpretazione,
che nello scenario italiano si scontrano da sempre due diverse
fazioni del capitalismo: quella che fa riferimento ai grandi
potentati internazionali e quella che è principalmente espressione
delle varie cricche, mafie, corporazioni di stampo medievale e di
influenza localistica che infesta il nostro Paese. Entrambe rivolte a
perseguire interessi egoistici e particolari a danno della generalità
dei cittadini.
E allora è così che si può leggere
Tangentopoli e l'odierna lotta alla casta: come regolamento di conti
tra le fazioni che si contendono la preda Italia ma non come tappa
indispensabile all'affermazione di entità nemiche, come se gli
esponenti politici che vengono fatti cadere in disgrazia – i Craxi,
Andreotti, Forlani ieri; i Berlusconi, Bossi, Scajola, Penati,
Formigoni, Fiorito oggi - non fossero ontologicamente predisposti a
mercanteggiare con il potere, sia esso di qualunque natura (potenze
straniere, sistema finanziario internazionale, faccendieri e
affaristi nazionali), il prezzo del proprio ruolo politico. Fare
tabula rasa di un ceto politico, di destra e di pseudo sinistra, che
ha sottomesso la politica agli interessi del potere economico,
accontentandosi delle briciole che gli vengono gettate sotto il
tavolo, è certo condizione necessaria ma evidentemente non
sufficiente per cambiare l'Italia se si riduce ad una semplice
alternanza di classi dirigenti, anche con l'obiettivo di mantenere ed
accrescere il consenso popolare a determinate politiche offrendo in
pasto al popolo qualche capro espiatorio, mancando un progetto di
alternativa sociale ed economica realmente espressione maggioritaria
della volontà e del bene dei cittadini.
Se non si vuole rimanere semplici
spettatori di questo scontro è dunque sempre più urgente la
costruzione di una vera alternativa unitaria nel nostro Paese in
grado di rappresentare i ceti popolari e perseguire il bene comune e
l'interesse nazionale.
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