Sul fenomeno italiano che trasforma inesorabilmente e regolarmente banali eventi naturali ricorrenti - piogge torrenziali, neve, terremoti - in fatalità catastrofiche portatrici di lutti e di ingenti danni materiali si leggano le lucide analisi di Marco Travaglio, di Gian Antonio Stella e i freddi e razionali numeri di Eddyburg. L'incuria del territorio, la mancanza di prevenzione, l'inadeguata progettazione e costruzione degli edifici e delle infrastrutture rende l'Italia un Paese in eterna ed ininterrotta emergenza.
Uno Stato, in quanto istituzione politico-amministrativa attraverso cui il popolo soddisfa i bisogni comuni e ottimizza la propria organizzazione sociale, che abbia realmente tra le sue priorità la salvaguardia della vita dei cittadini e del loro futuro dovrebbe operare per prevenire e minimizzare i danni - alle persone, alle abitazioni
civili, agli edifici pubblici, al patrimonio artistico e storico, al tessuto
economico - che la natura può provocare.
L'esempio del Giappone in materia di terremoti è, a questo riguardo, assolutamente istruttivo.
Un grande piano di piccole opere pubbliche per mettere in sicurezza l'Italia andrebbe nella direzione che tutte le persone di buon senso auspicano e consentirebbe di creare lavoro, sviluppare tecnologie e professionalità, garantire nel tempo risparmi di spesa pubblica e privata.
Quello che ci resta oltre alla sacrosanta solidarietà ed al cordoglio è invece immaginare l'assalto famelico dei lupi delle cricche agli appalti della ricostruzione ed ascoltare le rituali (retoriche, ipocrite, colpevoli) dichiarazioni delle più alte cariche dello Stato.
Aspettando il prossimo disastro.
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