Sono trascorsi sei mesi
dall'insediamento di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio ed è
passato abbastanza tempo per fare un bilancio ragionato dell'azione
svolta dal suo governo nel quale possa prevalere l'analisi dei fatti
più che le valutazioni o i pregiudizi ideologici.
Quando fu chiamato, a furor di poteri
forti, alla guida dell'Esecutivo Monti deve essersi sentito una
specie di Unto del Signore. La possibilità di applicare le proprie
convinzioni e le proprie idee – politiche, economiche, sociali -
avendo dalla propria parte i Grandi del mondo occidentale (Obama,
Sarkozy, Merkel), le istituzioni finanziarie sovranazionali, il
presidente Napolitano, la grande stampa italiana e internazionale, il
consenso ampio dell'opinione pubblica italiana che, spesso anche
dentro la sinistra radicale, tirava un sospiro di sollievo di fronte
alla fine della vergogna del governo Berlusconi (e per quanto
riguarda la qualità dei ministri, sarebbe bastato prendere una
ventina di persone a caso per strada per trovare maggiore competenza
e decoro di quella espressa dalla compagine di Lega e PDL), la
benedizione del Vaticano, la fiducia del 90 per cento del parlamento
con i partiti della sua maggioranza da un lato resi inoffensivi dalla
perdita della propria credibilità e dall'altro ben contenti che ci
fosse qualcun altro a fare il lavoro sporco 'chiesto dall'Europa'.
Una situazione che ricordava quello
spot in cui si diceva “ti piace vincere facile”.
Quali sono i risultati (i fatti) dopo
sei mesi di governo? I conti non sono stati messi in sicurezza se lo
spread viaggia ormai da settimane intorno e oltre i quattrocento
punti (e la riduzione rispetto ai tempi berlusconiani (532 punti il 9
novembre) è stata determinata solo dai miliardi di euro messi a
disposizione all'uno per cento dalla BCE alle Banche per l'acquisto
dei titoli degli Stati in crisi della zona euro) e il collasso
dell'euro a partire da Grecia, Portogallo, Spagna per poi coinvolgere
anche l'Italia appare un'ipotesi sempre meno improbabile, i compiti
fatti a casa (le riforme (leggi macelleria sociale) e l'incremento
delle tasse) non hanno in alcun modo attenuato la linea del rigore
della Merkel e convinta ad intraprendere quell'azione (rendere la BCE
prestatore di ultima istanza dei paesi euro) che sola potrebbe
spuntare le unghie alla speculazione, il nostro Paese conosce una
pressione fiscale mai vista in precedenza (e, in attesa che l'IMU si
abbatta sui cittadini si studiano per le prossime settimane nuovi
tagli allo Stato sociale (la spending review di Bondi) quale
alternativa all'ulteriore incremento dell'IVA di due punti
percentuali se non addirittura una manovra finanziaria aggiuntiva per
riequilibrare i conti pubblici a seguito della riduzione del PIL), il
costo della vita è aumentato in modo tragico per i ceti medi e
bassi, l'economia è in piena recessione, il malessere sociale –
dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, degli imprenditori,
degli artigiani, dei pensionati, degli esodati - esplode.
“Il Paese è segnato da profonda
tensione sociale” dice Monti. Forse pensava che ai cittadini
massacrati dalla crisi e dalle sue politiche fossero sufficienti le promesse di una
crescita futura e gli appelli e i moniti di Napolitano. E intanto
deve prendere atto che i partiti della sua maggioranza che vedono
mancare la terra sotto i piedi e crollare il consenso elettorale non
lo sosterranno ancora a lungo.
Monti sta fallendo, ha fallito, fallirà
per due motivi.
Primo, perché è portatore di
quell'ideologia del libero mercato capitalista che ha condotto il
mondo occidentale alla crisi che stiamo vivendo. Nel suo lessico,
nella sua visione del mondo non hanno alcuno spazio temi e parole
come quelli della riconversione ecologica, della decrescita, dei beni
comuni, della qualità della vita, dell'eguaglianza. Il capitalismo
di Stato, il modello vincente dei BRIC, è percepito alla stregua di
una bestemmia.
Due sono le cose che interessano a
Monti: la solvibilità del debito italiano (e questo è il motivo per
cui è stato scelto dai grandi poteri finanziari per la guida del
governo) e la competitività del nostro sistema economico (perché è
convinto che solo attraverso questa via possano essere sanati gli
squilibri tra i paesi aderenti all'euro e creata occupazione e
ricchezza).
Non voglio pensare che Monti voglia
sadicamente e deliberatamente distruggere e svendere il nostro Paese
come qualcuno crede
ma certo ritiene indispensabile lo shock della riduzione dei consumi,
dei salari, dei diritti, di un impoverimento complessivo della
società italiana per ridare slancio alla nostra economia.
Mi sembra un esercizio del tutto
inutile, tra l'ingenuo e il patetico, sperare o credere che Monti
possa convertirsi alle politiche keynesiane (e questo articolo di
Krugman
sembra scritto proprio per lui).
Secondo, la crisi italiana nasce come
conseguenza della dittatura del capitalismo finanziario mondiale resa
ancora più insostenibile dalle nostre classi dirigenti (politiche,
economiche, intellettuali, nella pubblica amministrazione), dal loro
peso parassitario, dalla loro inettitudine, incapacità, disonestà.
Ebbene Monti è nominato dai primi e
governa grazie e attraverso i secondi. Dato per acclarato che di
crescita finora non si è sentito nemmeno l'odore (ammesso che sia
ancora qualcosa di auspicabile), come si poteva pensare che potesse
realizzare equità e rigore (cioè far pagare i sacrifici ai ricchi e
a chi si è arricchito a spese dello Stato e della collettività) in
queste condizioni?
Si poteva pensare che Monti, un
settantenne che fa parte di quella classe dirigente e che ha
collaborato con molti di coloro che ci hanno condotto nel baratro
(Cirino Pomicino solo per fare un nome), fosse il riformatore e il
rinnovatore di cui avevamo bisogno?
Quanto durerà ancora questo governo?
Sono evidentemente due i fattori determinanti: il contesto europeo e
l'evoluzione dell'euro, avendo il nostro Paese ormai rinunciato a
qualunque volontà di autonoma iniziativa; il momento nel quale i
partiti della maggioranza riterranno più opportuno o almeno meno
negativo per sé stessi andare alle elezioni.
Da questo punto di vista, posso
sbagliarmi, mi sembra che il mantenimento dell'attuale legge
elettorale e la conservazione della caricatura del bipolarismo che
conosciamo sia oggi per loro l'ultima ancora di salvezza rimasta per
limitare la possibilità del rafforzamento e della nascita di nuove
proposte politiche.
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