29 febbraio 2012, Mario
Monti: “Gli spread nell'area euro non torneranno a impennarsi”
(si era giunti in quel momento a 340 punti).
20 luglio 2012: lo spread tornato a 500
punti, ai livelli berlusconiani.
Non è male la capacità di previsione
e di analisi (forse il mago Otelma avrebbe fatto di meglio) di colui
che avrebbe dovuto essere il salvatore della Patria.
E questo con politiche che hanno
portato in recessione l'economia italiana (meno due per cento di PIL
nel 2012), altissimi livelli di disoccupazione, bruciato i risparmi
dei cittadini, elevata la pressione fiscale, aggredito il welfare e i
diritti dei lavoratori, messo in campo una riforma delle pensioni
iniqua e punitiva per chi dopo una vita di lavoro (magari alla catena
di montaggio, in fonderia, a contatto con i veleni delle industrie chimiche, sulle impalcature usate nelle costruzioni)
vede sempre più allontanarsi il momento del collocamento a riposo.
Il fallimento di Monti richiama le
responsabilità di chi l'ha scelto e collocato nel ruolo di capo del
Governo (Napolitano, Bersani, Casini, lo stesso Berlusconi) e di chi
fino a ieri rivendicava il dovere di proseguire il suo 'lavoro' anche
nella prossima legislatura (tra questi le ineffabili facce di bronzo
di Enrico Letta e Pietro Ichino).
Perché tutti quei personaggi ci
avevano spiegato che andare a votare in piena turbolenza dei mercati
ci avrebbe portato al fallimento come in Grecia, che l'attuazione
delle 'riforme' richieste dall'Europa era l'unico modo per salvarci e
che solo un governo tecnico, portatore di verità sovraordinate alle
diverse opzioni politiche, poteva realizzarle.
I risultati sono sotto i nostri occhi, soprattutto nelle statistiche su disoccupazione e povertà, e il peggio sta per arrivare.
Le giustificazioni che adduce Monti
(dietro la maschera della sobrietà si nasconde il solito venditore
di fumo) per motivare la sua débacle sono 'miserrime' per usare il
linguaggio di Napolitano: l'effetto del contagio degli altri Paesi
Euro in crisi, l'instabilità politica e le incognite sull'esito
delle prossime elezioni che 'spaventano' i mercati.
Certo non può provare meraviglia chi
in questi mesi ha cercato di informarsi senza fermarsi ai media
conformisti (i TG, Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa) ma
leggendo le analisi e le proposte di economisti come Krugman e
Roubini e Stiglitz, Emiliano Brancaccio e Loretta Napoleoni, di
storici come Hobsbawn, di intellettuali come Luciano Gallino e Guido Viale, dei blog del Fatto Quotidiano, di Beppe Grillo
e di Paolo Ferrero, di siti di approfondimento e di iniziativa politica come Sbilanciamoci, Megachip, Libreidee, Micromega, Eddynburg,
Cadoinpiedi, ALBA, Il Manifesto, Contropiano, di trasmissioni
televisive come quelle di Santoro, Riccardo Iacona e Milena
Gabanelli.
L'andamento di questa crisi che dura
ormai dal 2007 dimostra che essa va affrontata con una logica diversa
da quella thatcheriana del non c'è alternativa al liberismo, alla
quale Monti si è attenuto, ed anzi rovesciandola.
Il video che pubblico in questo post
(chi parla nel video è l'economista Nino Galloni, figlio di Giovanni
Galloni già esponente e ministro dc moroteo e vice-presidente del
CSM) serve a capire gran parte delle ragioni che sono all'origine
della crisi attuale e dell'esplosione del debito pubblico italiano
negli ultimi 30 anni, proprio in corrispondenza dell'avvento su scala
globale del turbocapitalismo. La svolta si ha nel momento in cui si
realizza, negli anni '80, la 'separazione' tra Banca d'Italia e Tesoro, cioè lo Stato
non può più finanziarsi automaticamente attraverso l'emissione di
moneta ma è obbligato a prendere in prestito i fondi necessari al
suo funzionamento presso i mercati finanziari (favorendo i profitti
degli speculatori nei confronti dei quali si pone in una posizione di
sottomissione e debolezza). La conseguenza di quella decisione, non
essendoci la forza e la volontà politica per ridurre contemporaneamente sprechi e spesa
pubblica, fu l'incremento a dismisura del livello del debito e del
costo degli interessi sui titoli di Stato.
L'ingresso dell'Italia nell'euro fu, a mio avviso, non una tappa nel progetto di sottomissione dei popoli europei ma il tentativo di trovare un rimedio, con l'adozione di una moneta forte, per ridurre la dipendenza dai mercati ed il costo del debito pubblico. Un tentativo fin qui fallito perché l'euro fu progettato male, proprio in ossequio alla logica dell'accettazione della dittatura dei mercati finanziari, senza dotarlo di quegli strumenti (una Banca centrale con gli stessi poteri e le stesse funzioni di Stati sovrani come Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone) in grado di contrastare la speculazione. Speculazione a sua volta, secondo un'interpretazione che condivido, originata negli ultimi anni principalmente dall'obiettivo degli Stati Uniti, da realizzarsi attraverso una guerra economica, di rafforzare e consolidare - anche con l'eliminazione o il ridimensionamento di un pericoloso concorrente del dollaro quale l'euro - il proprio dominio nel mondo, messo in discussione dall'ascesa dei BRICS e dalla crisi dei mutui subprime.
L'ingresso dell'Italia nell'euro fu, a mio avviso, non una tappa nel progetto di sottomissione dei popoli europei ma il tentativo di trovare un rimedio, con l'adozione di una moneta forte, per ridurre la dipendenza dai mercati ed il costo del debito pubblico. Un tentativo fin qui fallito perché l'euro fu progettato male, proprio in ossequio alla logica dell'accettazione della dittatura dei mercati finanziari, senza dotarlo di quegli strumenti (una Banca centrale con gli stessi poteri e le stesse funzioni di Stati sovrani come Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone) in grado di contrastare la speculazione. Speculazione a sua volta, secondo un'interpretazione che condivido, originata negli ultimi anni principalmente dall'obiettivo degli Stati Uniti, da realizzarsi attraverso una guerra economica, di rafforzare e consolidare - anche con l'eliminazione o il ridimensionamento di un pericoloso concorrente del dollaro quale l'euro - il proprio dominio nel mondo, messo in discussione dall'ascesa dei BRICS e dalla crisi dei mutui subprime.
C'è un'ultima considerazione che mi ha
suggerito il video di Galloni, che mette sotto una luce inquietante
anche il PCI di Berlinguer, e riguarda la natura delle élites,
delle caste e dei ceti politici, economici, intellettuali italiani.
E cioè che il conflitto degli ultimi
decenni nel nostro Paese sia stato quello tra due 'partiti', concorrenti ma fondamentalmente non nemici, entrambi
nefasti per gli interessi dei ceti popolari e per il bene comune:
quello che è sostanzialmente emanazione della grande finanza
italiana e internazionale (il PD, Repubblica e il Corriere, il
centrosinistra di Prodi e Ciampi) e quello che fondamentalmente
rappresenta gli interessi delle tante corporazioni e dei tanti centri
di potere, legali e illegali, in cui è frammentata l'Italia (Andreotti, Craxi, Berlusconi, i clericali, la Lega).
Servirebbe un'iniziativa politica in grado di dare voce, in modo forte ed esplicito, ai ceti popolari e ai lavoratori, la maggioranza del Paese, ma siamo, ahimè, ancora a poco più delle chiacchiere.
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