E' giunto a conclusione l'iter
giudiziario per le violenze commesse dalle forze di polizia nella
scuola Diaz (“la macelleria messicana”) contro i manifestanti del
G8 di Genova del 2001 con la sentenza della Corte di Cassazione che
ha confermato le condanne per 25 poliziotti, tra cui alcuni
altissimi gradi degli apparati investigativi italiani, ma solo per il
reato di falso aggravato.
Nel dettaglio:
il collegio presieduto da Giuliana Ferrua ha
confermato 4 anni a Giovanni Luperi e Francesco Gratteri, 5 anni per
Vincenzo Canterini (all’epoca comandante del
Reparto mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni e 8 mesi a Gilberto
Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici (questi
ultimi all’epoca dirigenti di diverse Squadre mobili), Spartaco
Mortola (ex capo della Digos di genova), Carlo Di Sarro,
Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di
Bernardini. Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a
nove agenti appartenenti al VII nucleo sperimentale del Reparto
mobile di Roma.
Per i condannati, tra cui vale la pena
di evidenziare il nome di Spartaco Mortola e la sua ultima performance
nello scorso febbraio contro i manifestanti No-Tav alla Stazione di Torino, anche la pena
accessoria di interdizione dai pubblici uffici e dunque l'obbligo di
essere espulsi dalla polizia ma giustizia non è fatta: per i
colpevoli nessun giorno di carcere grazie all'indulto, il reato di
lesioni gravi prescritto, le responsabilità politiche non sono state
individuate.
Anni fa Massimo D'Alema scrisse un
libro: “Un Paese normale”. Non so a cosa si riferisse e
francamente non mi interessa, ma in un Paese normale non è possibile
che membri delle forze dell'ordine si macchino, con una continuità
agghiacciante, di violenze inaccettabili e inaudite, causandone
perfino la morte, nei confronti dei cittadini che sono oggetto dei
propri interventi: i manifestanti del G8, i No-Tav, Gabriele Sandri,
Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino per arrivare
all'ultimo caso del pensionato di 63 anni brutalmente
pestato da poliziotti a Milano.
In un Paese normale reati gravi e
gravissimi – violenze, corruzione, bancarotta – commessi da
uomini dello Stato e da potenti non vengono lasciati cadere in
prescrizione e non si permette che restino impuniti per la deliberata lentezza
elefantiaca della Giustizia.
In un Paese normale valgono non solo le
responsabilità penali ma anche le responsabilità politiche.
Giovanni De Gennaro, capo della Polizia all'epoca dei fatti del G8 e
superiore diretto dei dirigenti condannati, dovrebbe immediatamente
abbandonare – per una semplice questione di decenza – l'attuale
incarico di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio delegato
per la sicurezza della Repubblica. Mario Monti dovrebbe chiarire le
ragioni della sua nomina e qualcuno dovrebbe spiegare le ragioni
della deferenza bipartizan (PD, PDL, UDC) nei suoi confronti.
In un Paese normale Claudio Scajola,
ministro degli Interni all'epoca dei fatti nonché colui che definì
Marco Biagi, poi ucciso dalle Brigate rosse, un “rompicoglioni”
perché reclamava una scorta che lo proteggesse e che fu
beneficiato di un versamento “a sua insaputa” di alcune centinaia
di migliaia di euro per l'acquisto di una casa al Colosseo, vedrebbe
concludersi definitivamente la propria carriera politica.
In un Paese normale, Fini – per
qualche tempo eroe dell'opposizione, anche di sinistra,
antiberlusconiana – dovrebbe chiarire quale fu il
suo ruolo nella sala operativa della Questura di Genova nei
giorni delle violenze alla scuola Diaz e della morte di Carlo
Giuliani.
In un Paese normale, Antonio Di Pietro
spiegherebbe perché i suoi deputati impedirono nel 2007 la
costituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare sui fatti
del G8.
In un Paese normale non succede che, mentre i potenti e i loro sicari restano impuniti, la scure della giustizia possa abbattersi senza pietà, solo perché dall'altra parte della barricata, nei confronti degli autori di reati, o presunti tali, di gravità palesemente inferiore o che consistono solo nella manifestazione del dissenso (Fabrizio Filippi detto Er Pelliccia condannato a tre anni per il lancio di un estintore; gli attivisti No-Tav; i 10 dimostranti del G8 che rischiano complessivamente 100 anni di carcere).
In un Paese normale non succede che, mentre i potenti e i loro sicari restano impuniti, la scure della giustizia possa abbattersi senza pietà, solo perché dall'altra parte della barricata, nei confronti degli autori di reati, o presunti tali, di gravità palesemente inferiore o che consistono solo nella manifestazione del dissenso (Fabrizio Filippi detto Er Pelliccia condannato a tre anni per il lancio di un estintore; gli attivisti No-Tav; i 10 dimostranti del G8 che rischiano complessivamente 100 anni di carcere).
Appunto in un Paese normale.
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