Per puro esercizio accademico, giusto
per avere del materiale da pubblicare sul blog, mi ero cimentato
anch'io sul sito della Presidenza del Consiglio a dare il mio
contributo di cittadino per suggerire quali spese e sprechi dello
Stato tagliare ed eliminare. Nulla di eclatante, tutte cose secondo
logica e secondo buon senso (come la riduzione delle spese militari,
la rinuncia ai progetti di grandi opere, il porre un limite massimo a
retribuzioni pubbliche e pensioni) in linea con le campagne di
quell'ottimo laboratorio di idee che è Sbilanciamoci con le sue
contro-finanziarie.
Nessuna illusione che il Governo
potesse scartare dalla consueta linea, adottata da tutti gli
Esecutivi di destra e di sinistra che si sono alternati al potere
negli ultimi trent'anni, dei tagli alle spese sociali, dei
trasferimenti agli enti locali (e dunque per i servizi ai cittadini),
del dimagrimento dello Stato, di ulteriori penalizzazioni per i
dipendenti pubblici (di cui ridurre il numero non è ben chiaro se
attraverso licenziamenti o pre-pensionamenti) tutti sbrigativamente
identificati come il cancro e la vera rappresentazione e causa della
malattia italiana.
D'altra parte basta pensare che
l'artefice di questa nuova manovra non-manovra della finanza pubblica
è quel Vittorio Grilli, vice-ministro dell'Economia ma in pratica
vero titolare del dicastero stante l'incarico ad interim di Monti,
già Direttore Generale del Tesoro e stretto collaboratore di Giulio
Tremonti.
Fermo restando che pensare di
affrontare il problema del debito pubblico italiano con queste
modalità ha la stessa possibilità di successo di provare a svuotare
il mare con un secchiello, manca drammaticamente la capacità e la
volontà di incidere su ciò che è alla base degli sprechi nella
pubblica amministrazione: l'efficienza e la qualità dei servizi
pubblici erogati. Nemmeno il più flebile accenno all'idea di
rivedere e migliorare le procedure attraverso le quali si compongono
le decisioni della pubblica amministrazione, attraverso le quali si
dipanano i rapporti con i privati siano essi fornitori o
cittadini-utenti, nessuna analisi di quali siano le reali priorità per i cittadini e i modi più opportuni per soddisfarli. Nessuna concessione a strumenti di controllo e di
valutazione – cose oggi facilmente realizzabili grazie alla rete -
da parte dei cittadini dell'attività dell'amministrazione e dei
dipendenti pubblici.
E ciò perché questo Governo di pseudo
tecnici è intimamente organico a tutte quelle caste che hanno preso
in ostaggio l'Italia e alla partitocrazia che li rappresenta e che
proprio dallo spolpamento e dall'accaparramento delle risorse di uno
Stato deliberatamente lasciato inefficiente trae linfa vitale.
Nel momento in cui si andrà ad
individuare i lavoratori e i dirigenti pubblici da esodare quali
criteri saranno seguiti? Quelli delle capacità o del merito oppure,
come sempre, verranno salvati coloro che contano qualche santo
(cardinale, politico, faccendiere, boss mafioso) in Paradiso?
Dopo aver posto il blocco
all'assunzione di nuovi dirigenti fino al 2015 lor signori avranno
ancora il coraggio di parlare di opportunità e di occasioni per i
giovani?
Ad un Monti prigioniero dell'ortodossia
liberista e plenipotenziario dell'Impero Americano in Italia la
sinistra, una vera sinistra, dovrebbe contrapporre idee, proposte e
soluzioni diverse.
Ad esempio sulla logica e la
economicità delle esternalizzazioni.
In ossequio alla pretesa che gestione
pubblica significa necessariamente inefficienza e sprechi e gestione
privata risparmi, flessibilità e ottimizzazione delle risorse
impiegate, le amministrazioni pubbliche hanno via via sempre più
esternalizzato lo svolgimento di servizi di cui sono responsabili
ovvero che sono essenziali per la propria attività.
Ecco dunque l'esplosione di consulenze
e appalti esterni.
Questa pretesa di una superiorità del
privato sul pubblico stride anzitutto con l'osservazione degli
innumerevoli esempi di eccellenza di strutture pubbliche: la Banca
d'Italia, Università come la Normale di Pisa, Istituti ospedalieri,
i reparti speciali investigativi di polizia e carabinieri, le frecce
tricolori. Non erano dipendenti pubblici Falcone e Borsellino? Non
lavoravano all'interno di un Dipartimento Universitario di Stato i
ragazzi di Via Panisperna, Fermi, Segrè, Amaldi e gli altri? Non erano manager di aziende statali uomini illuminati e capaci come Raffaele Mattioli ed Enrico Mattei?
In termini di costi, logica vuole che se
per svolgere una determinata attività anziché impiegare
direttamente i lavoratori devo incaricare una impresa esterna a
questa dovrò riconoscere un compenso per il suo impegno (il
profitto) che altrimenti non dovrei pagare.
Si devono poi considerare i costi
burocratici delle procedure di assegnazione di appalti e consulenze
oltre al fatto che dietro queste si annida, non in maniera episodica
ma strutturale, la corruzione (quel fardello di 70 miliardi di euro
l'anno secondo la Corte dei Conti che pesa sul bilancio dello Stato e
su tutti i cittadini).
Da un lato dunque, con servizi gestiti
in house, buona occupazione, controllo diretto sulla qualità dei
lavori svolti, disponibilità ininterrotta del personale necessario a
svolgere attività indispensabili (a proposito ad esempio dei crolli
di Pompei, imperdonabile delitto contro la nostra storia ed il nostro
patrimonio artistico, è stato notato che essenziali lavori di
piccola manutenzione, non essendo più disponibili operai-dipendenti,
richiedevano ogni volta la necessità di incaricare ditte esterne con
l'inevitabile conseguenza di non poter agire tempestivamente).
Dall'altro ipotetiche flessibilità nel
fabbisogno di lavoratori e riduzione dei costi (smentite ogni volta
dai fatti; vogliamo parlare dello scandalo a Napoli della GlobalService di Romeo?) : per rientrare nelle spese e pagare i costi della corruzione non è
raro che le imprese appaltatrici debbano poi risparmiare sulla
qualità dei lavori e dei materiali utilizzati, sulle retribuzioni e
la sicurezza degli addetti. A ciò si devono aggiungere le inique
disparità di trattamento e di condizioni contrattuali per addetti
che operano nelle stesse strutture e negli stessi uffici. E' questo l'interesse generale?
E per quanto riguarda l'acquisto di
beni da parte della Pubblica Amministrazione non sarebbe possibile
pensare, laddove ve ne siano le condizioni tecniche, alla produzione
in proprio? Ad esempio per quanto riguarda i farmaci: attraverso
dipartimenti e laboratori costituiti ad hoc, aziende ospedaliere di
dimensione gigantesche come quelle italiane (o un'altra Istituzione
pubblica di eccellenza quale lo Stabilimento Farmaceutico Militare)
non sarebbero in grado di soddisfare una parte consistente del
proprio fabbisogno?
Certo questo comporterebbe problemi al
mercato e con il mercato (nello specifico le multinazionali
farmaceutiche) e con l'Europa. Ma qualcuno ha mai provato a formulare
e presentare delle stime oneste e realistiche di costi/benefici?
Nessun commento:
Posta un commento