Per i cultori della materia una buona
legge elettorale dovrebbe contemperare due diverse e tra loro
sostanzialmente contrapposte esigenze: la governabilità, cioè
far scegliere esplicitamente ai cittadini il partito o la coalizione da cui vogliono essere governati purché con un sufficiente livello di coesione ed in grado di realizzare il proprio
programma politico, e un'adeguata rappresentatività delle varie
correnti ideologiche e politiche nelle quali si articola una
determinata collettività nazionale.
Al riguardo però bisognerebbe
anzitutto riconoscere che è un'illusione pensare che una legge
elettorale qualsivoglia possa svolgere di per sé un ruolo virtuoso
per il funzionamento delle istituzioni democratiche quando manca una
classe politica onesta, capace, rispettosa delle regole
costituzionali e nel contempo un corpo elettorale composto di
cittadini consapevoli, informati, educati alla coscienza civica.
La storia parlamentare italiana
successiva all'adozione del maggioritario ne è la dimostrazione:
coalizioni dotate dei numeri per governare ma lacerate al proprio interno da insanabili divisioni politiche, trasformismi, ribaltoni, cambi di casacca di deputati e senatori
motivati da evidenti ragioni di convenienza personale fino a giungere
al commissariamento del governo Berlusconi che pure poteva contare su
di una vastissima maggioranza parlamentare.
Certo è altrettanto vero che una
cattiva legge elettorale ha l'effetto di potenziare gli elementi
perversi presenti in un determinato quadro politico e di
cristallizzarne e stabilizzarne le caratteristiche negative.
Ciò è avvenuto con il 'mattarellum'
che ha imprigionato in una camicia di forza, nell'obbligo di una
scelta innaturale senza alternative, visioni e posizioni politiche
che non avevano possibilità di convivere, e tanto più con il
'porcellum' che, con il potere di nomina dei parlamentari da parte
delle segreterie dei partiti e l'esclusione di ogni possibilità di
scelta per gli elettori, ha portato ad un punto mai prima conosciuto
la degenerazione partitocratica ed il livello di impresentabilità di
deputati e senatori.
Da una legge elettorale ci si può
attendere al massimo che faccia meno danni possibili e da questo
punto di vista è, a mio avviso, auspicabile il ritorno ad un sistema
proporzionale che garantisca la presenza in Parlamento anche delle
minoranze, con un unico voto di preferenza sui candidati (onde
evitare le vecchie abitudini della Prima Repubblica con le cordate di
candidati trainati dal capo corrente) ed una ragionevole soglia di
sbarramento che eviti l'inutile proliferare di
partiti e partitini.
Il proporzionale assicurerebbe almeno
di rendere più difficili colpi di mano sulla Costituzione (così
come avvenuto con l'inserimento nella nostra Carta fondamentale,
senza dover passare per un referendum popolare confermativo,
dell'obbligo del pareggio di bilancio da parte di una maggioranza
estesissima in Parlamento ma espressione a malapena della metà dei
cittadini aventi diritto al voto) e probabilmente una migliore
selezione delle cariche istituzionali, di controllo e di garanzia.
La governabilità è un altro discorso:
con PD, PDL e UDC che appaiono unanimemente convinti della necessità
di operare in continuità con le politiche del governo Monti o
addirittura, anche se non possono dirlo esplicitamente, di ripetere
nella futura legislatura l'esperienza del governo di salvezza
nazionale, pensare che la contrapposizione tra questo centrodestra e
questo centrosinistra possa avere altro scopo se non quello di
ingannare ancora una volta i cittadini è appunto pura illusione.
E andrebbe altresì chiarito che
l'indicazione del premier sulla scheda elettorale è qualcosa di
contrario alla Costituzione vigente che affida al Presidente della
Repubblica, sentiti i partiti in Parlamento, il potere di scelta del
capo del governo.
Poi se PD, PDL e UDC vorranno
continuare a governare insieme anche dopo il 2013 e se avranno
ricevuto voti sufficienti lo faranno comunque, a prescindere di
qualunque legge elettorale, ma almeno senza poter contare – come
ora – su di una maggioranza bulgara in Parlamento.
Queste sono le mie convinzioni,
evidentemente opinabilissime.
Ciò che ci aspetta in realtà è
completamente diverso. Ed è la realtà di una partitocrazia, che sente
ormai venire a mancare la terra sotto i piedi, a cui resta, tra le
ultime carte da giocare, la riforma (immancabilmente e pour cause intimata da Napolitano) della legge elettorale da cucirsi
addosso, come scrive Beppe
Grillo e come scrivevo anch'io su questo blog,
per poter continuare a barattare il mantenimento dei propri privilegi
di casta con la conferma del governo dei poteri forti, sia esso
guidato da Monti o da altri.
Se uno degli espedienti politici per
realizzare questa ennesima truffa elettorale è senz'altro la nuova
discesa in campo di Berlusconi e la conseguente (falsa)
radicalizzazione del confronto tra le diverse coalizioni non so quale
possa essere lo strumento tecnico in grado di supportarlo.
Mi sembra che quello che
Flores D'Arcais ha denunciato come il progetto del SuperPorcellum,
metà dei seggi assegnati attraverso collegi uninominali (e dunque
ancora una volta con il ricatto del voto utile e l'impossibilità per
le minoranze di essere rappresentate) e l'altra metà con voto su
liste bloccate (dunque ancora una volta senza preferenze) con soglia
di sbarramento e premio di maggioranza alla lista o alla coalizione
vincente, avrebbe davvero un carattere diabolicamente
antidemocratico.
A leggere le
anticipazioni dei giornali si tratterebbe proprio della proposta del
PD al cui confronto appaiono francamente meno pericolose le proposte
di UDC e PDL, anche se ovviamente ritagliate in funzione delle
proprie potenzialità di consenso, che quantomeno ripristinerebbero
le preferenze e darebbero maggiore spazio alla quota proporzionale o, in estrema ipotesi, addirittura la conferma del Porcellum.
C'è da aggiungere che se
in questo momento è Grillo, accreditato nei sondaggi elettorali del
20 per cento e passa dei voti, l'incubo che incombe sul vecchio
establishment partitocratico, il collegio uninominale favorisce proprio i partiti strutturati ed in grado di
mobilitare clientele e voto di scambio,
nella logica che il vincente anche se di un solo voto guadagna
tutta la posta in palio, al contrario della scelta
fondata sulle liste dove prevale maggiormente il voto di opinione.
In ogni caso, qualunque
decisione venga presa, ciò che si deve sperare è che si tratti di
conti fatti senza l'oste e cioè una cittadinanza che si risolva
finalmente, almeno nella cabina elettorale, a dar vita ad una
rivoluzione.
Post Scriptum. Con le Agenzie di rating che declassano l'Italia di due gradini, da A3 a Baa2, sulla base delle incertezze del quadro politico e le incognite che gravano sull'esito delle prossime elezioni, i 'mercati' hanno già deciso per chi e come deve votare il nostro Paese e ci intimano di farlo senza esitazioni. Quando si dice la dittatura della finanza e l'esproprio della democrazia.
Post Scriptum. Con le Agenzie di rating che declassano l'Italia di due gradini, da A3 a Baa2, sulla base delle incertezze del quadro politico e le incognite che gravano sull'esito delle prossime elezioni, i 'mercati' hanno già deciso per chi e come deve votare il nostro Paese e ci intimano di farlo senza esitazioni. Quando si dice la dittatura della finanza e l'esproprio della democrazia.
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