Bersani ha vinto le primarie e tutti
gli elettori di sinistra (che si considerano tali o che dicono di
considerarsi tali) del centrosinistra possono tirare un sospiro di
sollievo. Non ha avuto successo per il democristiano Renzi, almeno in
questa occasione, il tentativo di OPA su quello che viene ancora
considerato il maggiore partito della sinistra italiana.
Si potrebbe ragionare sui numeri delle
primarie, sul dato di 4 milioni di elettori pompato per tutta la
giornata del primo turno dai media di regime, con Repubblica in
testa, ad indicare la 'straordinaria partecipazione popolare' poi
ridottosi, e sarebbe tutto da verificare che non si tratti di dati
ancora gonfiati, a 3 milioni circa, un milione in meno delle primarie
che videro la designazione di Romano Prodi e non poteva essere
altrimenti senza più il baubau Berlusconi, senza il coinvolgimento
dell'opposizione più irriducibile ed antisistema, con la credibilità
dei partiti ai minimi storici come dimostrato dai crescenti consensi
del Movimento 5 Stelle e dall'astensionismo arrembante. 3 milioni di
votanti, certo un numero comunque importante ma corrispondente a
quello della nomina a segretario di Bersani e dunque sostanzialmente
coincidente, nonostante Vendola e gli elettori di destra di Renzi,
alla sola area di mobilitazione del PD.
Si potrebbe discettare, riguardo
all'avventura di Vendola nelle primarie, del suo errore tattico
(essersi candidato alle primarie avendo troncato ogni legame con la
sinistra alternativa che era stata fondamentale nei successi di
Pisapia, Doria, Zedda e per l'indicazione della sua candidatura a
Presidente della Regione Puglia) e strategico (aver accettato la
subalternità alla visione piddina di continuità e di sostegno alle
politiche del governo Monti).
Oppure trovarvi la conferma, come è il
mio caso, di sensazioni avute in passato e cioè che SEL era
nata a seguito di un accordo con la nomenklatura del PD: coprirgli il
fianco sinistro e depotenziare le opposizioni alternative e non
malleabili in cambio di visibilità, di poter portare al governo
degli enti locali propri esponenti e riacquisire poltrone in Parlamento, al Governo e nel sottogoverno.
La partecipazione alle primarie di
Vendola dunque non come scelta avventata e sopravvalutando le proprie
forze ma come adempimento di un patto contratto in passato pure a
costo di dividere le già deboli forze dell'opposizione al montismo e
al liberismo e pur sapendo di andare incontro ad una sconfitta sicura
e alla più totale ininfluenza politica.
Si potrebbe ancora discutere,
nonostante Vendola con il suo misero 15 per cento – nulla di più
dei potenziali elettori di SEL calati dentro l'intero recinto del
centrosinistra – abbia l'ardire di parlare di una svolta a sinistra
realizzata attraverso la scelta di Bersani a candidato Premier, di
quanto il centrosinistra intenda operare in discontinuità con
l'esperienza del Governo Monti. E cioè quali risposte di sinistra
possa offrire alle questioni del precariato, della povertà, della
disoccupazione, delle modalità attraverso le quali lo Stato possa
affrontare il problema del debito pubblico e la necessità di
finanziare (e non smantellare) Stato sociale e politica industriale
senza mettere sul lastrico i cittadini, rispetto alle controriforme
del diritto del lavoro e delle pensioni, alle grandi opere inutili
come la TAV, all'impegno in azioni di guerra all'estero in violazione
della Costituzione.
E su questo, al di là delle
chiacchiere e di generiche affermazioni di principio, non si può non
rilevare – se si ha onestà di giudizio – la sostanziale e
tragica conferma dell'agenda Monti.
Ma a me la cosa che interesserebbe di
più sarebbe riuscire a capire in quali valori e principi crede e di
quali categorie sociali è oggi espressione l'elettorato del Partito
Democratico.
I consensi ricevuti da Renzi – cioè
quello che viene da tutti considerato un moderato, un
para-democristiano, un emulo di Berlusconi che ha giocato tutte le
sue carte sull'immagine di giovane rinnovatore a fronte di contenuti
generici e superficiali ma palesemente rivolti all'efficientamento
della società liberista e capitalista - alle primarie, circa il
quaranta per cento dei votanti e dunque considerati i voti per
Vendola grosso modo la metà di militanti e simpatizzanti del PD,
offrono una prima risposta.
Poi esiste l'altra metà della base del partito (i cui leader di riferimento sono, ricordiamolo, D'Alema, Fassino, Veltroni, la Bindi, Franceschini),
quella che si considera di sinistra perché compra Repubblica, guarda
Fabio Fazio e il TG3, si indigna con la Gabanelli, ride con la
Litizzetto e Benigni, pensa che Napolitano sia il garante della
Costuzione, magari continua a pubblicare sul proprio profilo facebook
le frasi di Berlinguer, le canzoni di De Andrè, la foto di Che
Guevara.
Si tratta di persone che sul piano dei valori e dei principi sono conquistate e travolte da paura, opportunismo e conformismo.
Si tratta di persone che sul piano dei valori e dei principi sono conquistate e travolte da paura, opportunismo e conformismo.
La paura di perdere la propria
posizione sociale ed il proprio benessere economico e non si tratta
evidentemente della condizione economico-sociale di operai,
disoccupati, precari, poveri ma di un ceto piccolo-medio borghese di
impiegati, quadri, professionisti, commercianti, imprenditori,
burocrati, dirigenti di partito e di sindacato.
Ed è questo che li spinge ad accettare
il ricatto del voto utile e del male minore: Bersani meno peggio di Renzi che è
meno peggio di Monti che è meno peggio di Berlusconi in una corsa
senza fine verso la mediocrità purchè sia difeso lo status quo.
L'opportunismo di chi – dirigenti
politici e sindacali, titolari di imprese e amministratori di
cooperative beneficiarie di appalti e sovvenzioni pubbliche –
attende di cogliere i frutti, per sé e la propria cerchia familiare
e amicale, della conquista del potere da parte dei propri referenti
politici con il corollario di grandi speculatori finanziari e
immobiliari che sanno di trovare nel PD un interlocutore
'affidabile'.
Il conformismo di non guardare al di là
del proprio naso, di far finta di non vedere la miseria e la
disperazione che li circonda e che dovrebbe essere alla base di ogni
scelta politica di sinistra, di accontentarsi di un'informazione
prona al sistema e al potere – economico, sociale, politico – senza alcuna
curiosità intellettuale verso interpretazioni eretiche, verso
ricostruzioni dei fatti che possano smentire le proprie certezze
rassicuranti.
Si potrebbe concludere che il peggio
della tradizione del PCI – la ragion di partito, il conformismo
intellettuale, la disponibilità al compromesso morale anche con i
peggiori avversari quando ritenuto vantaggioso sul piano dell'accrescimento del potere – si sia trasferito nel PD perdendo però tutte
le idealità di trasformazione e di giustizia sociale.
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