Non è possibile oggi capire (forse riusciremo a comprenderlo nei
prossimi anni, forse ce lo spiegherà qualche documento segreto una
volta reso pubblico o trafugato da Wikileaks) cosa spinga un uomo di
quasi 88 anni, a pochi giorni dalla scadenza del proprio mandato, a
pretendere ancora di voler forgiare, secondo le proprie personali
convinzioni e forzando sia la volontà popolare espressa nelle
elezioni sia il dettato costituzionale, il sistema politico di questo
Paese.
Del suo settennato sicuramente ricorderemo l'accondiscendenza con
cui ha fronteggiato le leggi ad personam di Berlusconi, i continui
salvagente lanciati al padrone di Mediaset e della destra nei momenti
in cui era più in difficoltà da un punto di vista politico e
giudiziario, la svolta antipopolare e filo-liberista da egli
predisposta ed attuata con il governo Monti, gli ostacoli frapposti
all'accertamento della verità rispetto all'ipotesi di una trattativa
Stato-mafia che sarebbe stata all'origine delle stragi del '92 e del
'93.
La grazia concessa ad un militare americano condannato per il
rapimento in Italia di Abu Omar (grazia tutta politica e dunque
incostituzionale come scrive Marco Travaglio) e la costituzione dei
comitati dei presunti saggi per preparare il terreno ad un Governo
PD-PDL-Monti rappresentano solo gli ultimi (speriamo gli ultimi) atti
di una Presidenza della Repubblica che ha lasciato spesso sconcertati
e sgomenti, oltre che i cittadini democratici, molti degli osservatori politici e dei costituzionalisti,
al di là del plauso interessato ed ipocrita del mainstream
informativo e dei nostri protettori esteri.
Il compito dei comitati dei presunti saggi (di cui oggi sono state
diffuse le risultanze del proprio 'lavoro': ad un tempo mediocri e
pericolose) era palesemente quello di costituire le basi
programmatiche dell'inciucio. E questo contro la volontà degli
elettori, contro il bene dell'Italia che non può certo trovare
soluzione ai propri problemi riportando al Governo una destra
berlusconiana che è la maggiore colpevole del degrado morale,
sociale, politico ed economico in cui versa il nostro Paese, contro
gli interessi del suo stesso partito di origine, il PD, che verrebbe
definitivamente lacerato e distrutto da un nuovo accordo con
Berlusconi.
da l'Espresso
Quella grazia è incostituzionale
di Marco Travaglio
La Consulta ha stabilito che la clemenza presidenziale può essere
concessa solo per motivi «eccezionali» e «umanitari». Due
condizioni (specie la seconda) che non c'erano per l'ufficiale Usa
Joseph Romano, condannato per il rapimento di Abu Omar
(12 aprile 2013)
Mi chiama, con l'aria di Pierino che fa
la spia, un notissimo costituzionalista stupefatto per la grazia
concessa dal presidente Napolitano al colonnello Usa Joseph Romano
(condannato nel settembre scorso dalla Cassazione a 7 anni per il
sequestro Abu Omar). E mi mette una pulce nell'orecchio: «Si legga
la sentenza della Consulta del 3 maggio 2006 sul conflitto
Ciampi-Castelli a proposito della grazia a Bompressi, e ne tragga le
conseguenze. Io non le dico altro».
La sentenza, firmata da Alfonso Quaranta, contiene spunti interessanti. Soprattutto due aggettivi, ripetuti più volte, sulla grazia presidenziale: «umanitaria» ed «eccezionale» (trattandosi di una deroga al principio di uguaglianza, la prassi vuole che arrivi a debita distanza dalla sentenza, onde evitare che suoni come una sconfessione del lavoro dei giudici). E una chiara distinzione fra atto "politico" e gesto "umanitario".
Non è questione di lana caprina: il Presidente non ha alcun «potere personale», ma esercita ogni funzione «a nome dello Stato», dunque non è responsabile dei propri atti, che necessitano sempre della controfirma di un membro del governo. Nel 2005 il presidente Ciampi chiese al guardasigilli Castelli di istruire la pratica per la grazia a Bompressi (condannato a 22 anni per il delitto Calabresi e ammalatosi dopo aver scontato parte della pena), ma Castelli rifiutò. Allora Ciampi sollevò conflitto di attribuzioni alla Consulta per dirimere una volta per tutte il dilemma del vero titolare del potere di grazia. La Consulta sorprese molti costituzionalisti e gli diede ragione. Ma, per farlo, circoscrisse la grazia nei limiti dettati dallo stesso ricorso di Ciampi: un atto ispirato a una «ratio umanitaria ed equitativa» volto ad «attenuare l'applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale». Se - riassumeva la Corte - la grazia «esula da ogni valutazione di "natura politica"», è «naturale» attribuirla «al Capo dello Stato "quale organo rappresentante l'unità nazionale", nonché "garante super partes della Costituzione"».
La sentenza, firmata da Alfonso Quaranta, contiene spunti interessanti. Soprattutto due aggettivi, ripetuti più volte, sulla grazia presidenziale: «umanitaria» ed «eccezionale» (trattandosi di una deroga al principio di uguaglianza, la prassi vuole che arrivi a debita distanza dalla sentenza, onde evitare che suoni come una sconfessione del lavoro dei giudici). E una chiara distinzione fra atto "politico" e gesto "umanitario".
Non è questione di lana caprina: il Presidente non ha alcun «potere personale», ma esercita ogni funzione «a nome dello Stato», dunque non è responsabile dei propri atti, che necessitano sempre della controfirma di un membro del governo. Nel 2005 il presidente Ciampi chiese al guardasigilli Castelli di istruire la pratica per la grazia a Bompressi (condannato a 22 anni per il delitto Calabresi e ammalatosi dopo aver scontato parte della pena), ma Castelli rifiutò. Allora Ciampi sollevò conflitto di attribuzioni alla Consulta per dirimere una volta per tutte il dilemma del vero titolare del potere di grazia. La Consulta sorprese molti costituzionalisti e gli diede ragione. Ma, per farlo, circoscrisse la grazia nei limiti dettati dallo stesso ricorso di Ciampi: un atto ispirato a una «ratio umanitaria ed equitativa» volto ad «attenuare l'applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale». Se - riassumeva la Corte - la grazia «esula da ogni valutazione di "natura politica"», è «naturale» attribuirla «al Capo dello Stato "quale organo rappresentante l'unità nazionale", nonché "garante super partes della Costituzione"».
In definitiva, «il potere di grazia risponde a finalità essenzialmente umanitarie» per «attuare i valori costituzionali... garantendo soprattutto il "senso di umanità", cui devono ispirarsi tutte le pene... non senza trascurare il profilo di "rieducazione" proprio della pena». Il tutto, a patto che la grazia resti «contenuta entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria», per non violare «il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione». Di qui la raccomandazione a non deragliare dalla «funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria». Meglio che a valutarle sia una figura terza come il Capo dello Stato, anziché un organo politico come il governo, che non deve impicciarsi nelle sentenze dei giudici.
Confrontiamoci ora su questi princìpi inderogabili con la grazia di Napolitano allo spione americano condannato per il sequestro e la deportazione di Abu Omar da Milano ad Aviano a Ramstein e infine al Cairo, dove lo sceicco fu torturato per mesi. Il colonnello Romano è latitante dal 2007, non ha mai fatto un giorno di galera né mai lo farà, perché ben sei ministri della Giustizia italiani, di destra, di sinistra e tecnici, hanno rifiutato di inoltrare i mandati di cattura internazionali per lui e i 27 uomini Cia che parteciparono al rapimento.
Dunque la grazia, oltre a suonare come un'aperta sconfessione della condanna (emessa appena sette mesi fa), non può avere alcuno scopo umanitario per lenire una pena detentiva (inesistente). E infatti il Quirinale, nel suo lungo comunicato, la spiega con la necessità di «ovviare a una situazione di evidente delicatezza con un Paese amico»: gli Stati Uniti. Motivi squisitamente diplomatici, dunque politici: proprio quelli che la Consulta, nella sentenza 2006, esclude a priori nell'attribuire al Capo dello Stato e non al ministro l'esclusiva sul potere di grazia.
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