Non c'è che dire, in termini di
capacità propagandistiche e mistificatorie i cosiddetti tecnici non
hanno alcunché da invidiare ai politici più consumati. Anzi con la loro
tanto decantata sobrietà sovrastano decisamente, per come risultano
efficaci nell'ingannare l'opinione pubblica, i rozzi e sguaiati
politici che li hanno preceduti al Governo (i Brunetta, i Tremonti, i
Maroni, i La Russa). A patto di non contraddirli mai perché in quel
caso vomiterebbero tutta la protervia ed arroganza dei nuovi 'unti
del signore'.
Sotto l'indecente ombrello protettivo
di Napolitano ci hanno riempito la testa con i loro slogan e e loro
parole d'ordine: l'Europa, il futuro dei giovani, le donne, i
mercati, la competitività, l'equità, lo sviluppo e la crescita,
l'eliminazione degli steccati tra 'garantiti' e 'non garantiti'. La
possibilità per le imprese di licenziare arbitrariamente i propri
dipendenti diventa la 'flessibilità in uscita'. In quattordici punti
ci hanno spiegato perché la TAV in Val di Susa è indispensabile
evitando naturalmente, come scrive Luca Mercalli sul FattoQuotidiano, di confrontarsi, sui dati e sui numeri reali, con i tanti
esperti che hanno sottoscritto l'appello per rimettere in discussione
quell'opera.
Con i partiti che hanno lasciato mano
libera al governo Monti in materia economica e sociale (sono altre le
cose che interessano a PD, PDL e UDC: le poltrone di domani, la RAI,
le aziende e i processi di Berlusconi) dovrebbe essere ormai chiaro a
tutti che i tecnici stanno facendo pagare tutti i costi del
risanamento finanziario (ammesso che questo tentativo, fondato
sull'austerità e la conseguente recessione drammaticamente già in atto,
possa avere successo dal punto di vista dell'equilibrio dei conti
dello Stato) ai lavoratori e ai ceti popolari. Con una folle riforma
delle pensioni, scegliendo di ripristinare l'ICI (l'IMU) anziché
adottare un'imposta patrimoniale, aumentando le imposte indirette che
colpiscono maggiormente i più poveri anziché colpire i redditi più
elevati, rimandando ad un futuro che non vedremo mai l'aggressione ai
veri mali italiani: le mafie, la corruzione, l'evasione fiscale, le
ruberie e gli sprechi dei politici e dei grandi burocrati, i
privilegi del Vaticano.
Persino quel modesto aumento del
prelievo d'imposta per i capitali scudati sta risultando di ardua attuazione.
Carlo Clericetti su Repubblica mi
sembra colga perfettamente il senso della 'riforma' (senza vergogna
la chiamano 'manutenzione') dell'articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori: dare alle imprese la possibilità di espellere dal
processo produttivo i lavoratori più anziani e più costosi per
sostituirli con i giovani meno pagati per ridurre il costo del
lavoro e rendere così più competitive, in assenza della possibilità di svalutare una moneta nazionale, le merci italiane.
Distinguere tra licenziamenti
discriminatori, disciplinari e di natura economica è infatti l'ultimo degli
inganni. Perché le imprese che vogliono liberarsi di un lavoratore
(per ragioni fondate o non fondate, dicibili o indicibili) dovrebbero
non percorrere la strada del licenziamento per motivi economici
('oggettivi') che non dà luogo a contenziosi giudiziari e possibili reintegri? Avrebbero problemi a collocare i soggetti da espellere
in posti organizzativamente ad hoc?
Fermo restando che tutto questo non
servirà ad aumentare complessivamente l'occupazione e a stimolare la
crescita (ce lo hanno spiegato imprenditori ed economisti, anche di
orientamento liberale e lo dimostra il fatto che anche nelle aziende
al di sotto dei quindici dipendenti, dove non operava l'obbligo del
reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, non vi fosse
alcuna propensione a nuove assunzioni) per il semplice motivo che
finché la competizione con i concorrenti esteri si giocherà sul
costo del lavoro ci sarà sempre una Slovenia, una Romania, una
Serbia, una Corea, un Vietnam, una Cina, un Brasile dove sarà più conveniente
trasferire la produzione, la norma sui licenziamenti individuali
creerà un clima di terrore nelle aziende e una guerra tra poveri. Perché nessuno può
permettersi di perdere il posto di lavoro, perché sa che non lo
ritroverà e meno che mai lo ritroverà alle condizioni raggiunte con
decenni di anzianità di servizio. Perché sa che verrebbe stritolato
nella triplice morsa della crisi economica, di una pensione ormai
divenuta un miraggio irraggiungibile, di ammortizzatori sociali
sempre più insufficienti (e già la Cassa integrazione era un dramma
non un lusso come ora vorrebbero farci credere). Il dramma
evidentemente sarà soprattutto per i lavoratori 'anziani' fuori
mercato per competenze professionali e per 'pretese' economiche e
normative, nonostante siano state proprio le famiglie dei 'vecchi'
lavoratori a garantire quel welfare che lo Stato non assicurava e che
hanno consentito di mantenere fin qui una sostanziale pace sociale.
E qualcuno pensa che nel Paese delle
cricche e delle massonerie, dei boss delle varie mafie, dei politici
che hanno il potere di commissionare questo o quell'appalto, ad
essere cacciati saranno i peggiori o non coloro, anche fossero i
migliori, senza santi in Paradiso?
Avrei voluto sentire qualcuno parlare
di piena occupazione (nel caso riducendo in modo generalizzato l'orario di lavoro, così come consentirebbero le nuove tecnologie), di
reddito di cittadinanza e invece quello che ci viene imposto è di
spalmare, lasciando invariate o addirittura riducendo le cifre
complessive, il monte salari e gli stanziamenti per gli
ammortizzatori sociali su di una platea ancora più vasta di
destinatari.
In altri paesi, in altre epoche, in
altri contesti, tutto questo determinerebbe la nascita e lo sviluppo
di un autentico conflitto sociale ma oggi come oggi (con CISL, UIL e UGL nell'abituale ruolo di Sindacati di comodo, la CGIL della
Camusso che ha detto no all'accordo cosa farà ora? proclamerà due ore
di sciopero?) è quanto di più lontano possa apparire all'orizzonte.
Forse è veramente (Monti dopo
Berlusconi) quello che noi italiani ci meritiamo.
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