"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)

sabato 28 maggio 2011

Il punto. Berlusconi delira mentre l'Italia affonda e il mondo esplode.


Berlusconi percorre il viale del tramonto della sua esperienza politica abbandonando ogni residuo senso di decenza istituzionale e di rispetto degli avversari, coprendo di insulti i candidati dell'opposizione alle elezioni amministrative e i loro elettori di sinistra, definiti senza cervello, invadendo inutilmente telegiornali pubblici e privati. Si appella persino ad Obama, durante la riunione del G8, contro la dittatura dei giudici comunisti (e possiamo ben immaginare quanto questo accresca la credibilità ed il prestigio internazionale del nostro Paese), facendo fortemente dubitare sulle condizioni della sua salute mentale.
Mentre il degrado politico raggiunge un livello che forse l'Italia non aveva mai conosciuto nella sua storia, rendendo francamente ridicoli e fuori luogo gli appelli di Napolitano e delle gerarchie vaticane al dialogo e alla moderazione dei toni del dibattito pubblico, la situazione del paese reale si rivela nella sua piena drammaticità.

Il Rapporto annuale dell'Istat parla di un italiano su quattro che vive dentro la povertà o rischia di entrarci. Non funziona più, commenta Ilvo Diamanti, l'ascensore sociale: viviamo in un'Italia cristallizzata, senza sbocchi. Se coloro che nascevano negli anni cinquanta, sessanta e primi anni settanta avevano fondate speranze di migliorare la propria condizione sociale ed economica rispetto ai genitori, grazie al conseguimento di un titolo di studio (diploma o laurea) per il quale valeva la pena di fare sacrifici perché trovare un posto fisso, da operaio o nel pubblico impiego, o emergere nelle professioni liberali non era una chimera, la prospettiva per i giovani è ora la disoccupazione e il precariato e comunque un reddito inadeguato a progettare un futuro. I giovani sono definiti una razza in via di estinzione e tra quei pochi che ci sono oltre due milioni hanno abbandonato sia gli studi che la ricerca del lavoro mentre molti altri scappano all'estero per provare a coltivare il proprio talento.
E' un Paese triste e in declino quello che emerge in tutte le ricerche (nel classifica del 'PIL della felicità' l'Italia è agli ultimi posti dei paesi OCSE). La tragedia della crisi, quella crisi che il governo e molte televisioni hanno tentato di nascondere, trova riscontro anche nell'aumento dei suicidi.
Manca una politica industriale, manca un'imprenditoria (troppo piccola nelle dimensioni aziendali, spesso drogata dagli aiuti pubblici, soffocata da una pubblica amministrazione inefficiente e soprattutto dalla concorrenza sleale dell'economia criminale e in nero) in grado di far tornare il (vero) 'made in Italy' competitivo nel mondo attraverso l'innovazione e la creatività e non semplicemente con la riduzione del costo del lavoro, mancano investimenti nella ricerca, la scuola pubblica è stata smantellata, ci sta sfuggendo la capacità di cogliere l'occasione offerta dallo sviluppo della green economy.

Chi perde oggi il lavoro sa che non avrà altre opportunità. Ecco le giuste proteste operaie in Liguria e in Campania di fronte al progetto di ridimensionamento della Fincantieri. Ecco le manifestazioni di lavoratori, imprenditori, sindacalisti e membri di Confindustria contro lo stop da parte del Consiglio di Stato alla riconversione a carbone della centrale ENEL di Porto Tolle.
Ma quest'ultima è una protesta anacronistica in un mondo dove i cambiamenti climatici conseguenza dell'inquinamento costringono alla migrazione decine di milioni di esseri umani. Non si può barattare l'occupazione con il via libero alla distruzione dell'ambiente e l'attentato alla salute degli esseri viventi: tutti dovremmo diventare consapevoli della necessità di una riconversione ecologica dell'economia e come questa rappresenti il migliore investimento per il futuro. La soluzione non è quella che reclama Confindustria: più sviluppo, meno garanzie per i lavoratori, meno Stato. E' un evento gli imprenditori che sfilano a Treviso con in testa la Marcegaglia, per testimoniare il proprio disagio nei confronti dei partiti e del governo, ma ciò che si nota soprattutto sono gli abiti e le scarpe firmate dei manifestanti e non si capisce di cosa si lamenti chi ha sempre votato Berlusconi o la Lega.
E il domani si presenta ancora più cupo: con la possibile uscita della Grecia dall'euro e la conseguente aggressione della speculazione ai paesi europei più fragili e indebitati tra i quali anche l'Italia.
Per rientrare nei parametri europei, si prospetta, già a giugno, una manovra finanziaria da 40 miliardi di euro mentre la corte dei Conti parla, dal 2013 in poi, della necessità di una riduzione delle spese dello Stato per 46 miliardi di euro l'anno.
E intorno e davanti a noi, esplode il mondo: la guerra e i 'bombardamenti umanitari' in Libia, le rivolte sanguinose in Siria, in Bahrein, nello Yemen, gli indignados in Spagna che occupano le piazze per affermare che non si riconoscono più in una politica che in tutta Europa serve solo gli interessi delle multinazionali e delle lobbies finanziarie e non quelli delle persone (e vengono presi a bastonate dai poliziotti del socialista Zapatero per liberare il sito dove trasmettere la finale di Champions League).
Obama prova ad indicare un percorso di pacificazione e democratizzazione del mondo (con l'appoggio alle rivolte del mondo arabo ed il riconoscimento del diritto dei palestinesi a costituirsi come Stato): ma anche qui sono forse di più le incognite che le speranze, di fronte ad una chiara strategia per la riaffermazione del dominio sul mondo da parte degli Stati Uniti.

In tutto questo l'Italia è assente, bloccata, inerte. Tutta colpa, naturalmente, dei giudici comunisti, degli zingari, dei mussulmani.
Che si cominci a voltare pagina, da lunedì, con le vittorie di De Magistris (a Napoli) e Pisapia (a Milano).











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