I format del talk show politici seguono uno schema ben definito. Il loro compito non è quello di essere occasione di approfondimento informativo e di confronto delle diverse posizioni in campo ma di sublimare una sorta di scontro sportivo, si potrebbe dire una partita di calcio tenuto conto di qual è lo sport più popolare in Italia. Ciascuna squadra con i propri tifosi in studio (vedi il pubblico di Ballarò) e a casa a sostenere i propri beniamini (e a scriverne su facebook), a imprecare quando questi si dimostrano non all'altezza della situazione per capacità e impegno o a gioire per un affondo vincente, a fischiare l'avversario.
Incontri in cui a volte si gioca in casa (per noi di sinistra appunto Ballarò e Annozero) e a volte in trasferta (Porta a Porta), in cui gli arbitri (gli esperti o pseudo tali) non sempre sono all'altezza della situazione né neutrali, in cui ogni colpo basso fa parte del gioco.
C'è da riconoscere che Annozero, pur dentro questo schema, rappresenta qualcosa di diverso e di migliore (o di meno peggio) con trasmissioni in cui Santoro non rinuncia ad una propria narrazione della realtà, a mostrarne facce che altrimenti non avrebbero diritto di cittadinanza in televisione e a focalizzare la discussione su specifici temi senza farsi trascinare nel chiacchiericcio e nella rissa, vera specializzazione dei nostri politici.
Annozero di giovedì scorso, ospiti Bersani e Formigoni, ci ha mostrato che la crisi esiste anche se i tg non ne parlano (o ne riferiscono solo citando dati macroeconomici - pil, tasso di disoccupazione o rapporto deficit/pil - di difficile e controversa interpretazione e comprensione), che essa assume un carattere drammatico, forse più che altrove, in Sardegna dove la crisi delle industrie si congiunge con quella delle piccole imprese private, nel commercio e nella pastorizia.
Se Formigoni rivendica per il governo Berlusconi di aver fatto quanto era possibile in una situazione di straordinaria difficoltà, rispetto a questa crisi, al fallimento epocale (in termini di costi umani e di compatibilità con i bilanci dello Stato) di un'economia in cui la componente finanziaria dal carattere prettamente speculativo ha ormai marginalizzato la parte produttiva reale, il segretario del maggior partito di opposizione, Bersani, ha saputo solo riproporre la solita e vecchia ricetta in salsa ulivista:. “Noi siamo più bravi a governare e ad amministrare (cosa verissima se confrontiamo i Prodi, i Ciampi, i Padoa Schioppa a Berlusconi e Tremonti)” ma non abbiamo, aggiungo io, alcuna intenzione di trasformare questa società e questo sistema.
Esattamente la politica attraverso la quale la sinistra ha perso gran parte dei propri consensi e la fiducia del proprio popolo dando ogni volta la possibilità della rivincita ad una destra che invece promette, sia pure in modo rozzo illusorio e menzognero, di trasformare e migliorare le condizioni di vita delle persone.
Manca inoltre, sia in Bersani che in Formigoni, qualunque riferimento a quella che dovrebbe essere il primo provvedimento da prendere in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo: tagliare le spese improduttive. E cioè anzitutto e prima di tutto tagliare i costi della politica, le esorbitanti retribuzioni di parlamentari e consiglieri regionali, abolire le provincie, eliminare auto blu e aerei di stato oltre alle scorte esibite quali status symbol, rivedere e ridurre al minimo consulenze e l'infinità di poltrone di nomina politica negli enti e nelle aziende statali e locali.
Annozero ci ha fatto conoscere la saldatura avvenuta in Sardegna tra operai e partite IVA, possibile espressione di un blocco sociale sul quale fondare una vera alternativa, tutti nella stessa barca nel mare in tempesta della crisi economica e tutti ormai privi di ogni fiducia nei confronti di politica, sindacati e organizzazioni di categoria.
Ed anzi si ravvede proprio nei piccoli imprenditori una radicalità rivoluzionaria (la stessa che si è conosciuta nelle manifestazioni di autotrasportatori o di tassisti) che non si riconosce più negli operai. Forse perché abituati ad essere autonomi organizzatori del proprio lavoro e della propria vita e non semplici esecutori di direttive imposte da altri, forse perché privi di quei pur minimi ammortizzatori sociali a disposizione dei lavoratori dipendenti (la cassa integrazione) e dunque terrorizzati dalla prospettiva di perdere tutto, impresa reddito e casa, in un colpo solo.
Lascia perplessi la vessazione operata da Equitalia nei confronti dei piccoli imprenditori a fronte di mancati pagamenti di imposte e contributi previdenziali. Se non deve esistere tolleranza nei confronti degli evasori fiscali, è evidente che i provvedimenti concreti vanno poi rimodulati (nei tempi di esazione e attraverso forme di rateizzazione) in presenza di accertate situazioni di crisi, anche per salvaguardare le strutture produttive esistenti.
La realtà (qui opportunamente evidenziata da Bersani) è che ci sono due pesi e due misure nei confronti di coloro che sono inadempienti nei confronti del fisco: generosi e deboli verso i grandi evasori (si veda lo scudo fiscale e la risibile multa applicata (il cinque per cento) per il rientro dei grandi capitali esportati illecitamente all'estero), inflessibili nel rapporto con chi non può difendersi.
Si spiegano così quei miliardi di euro che il Governo vanta di aver recuperato nella lotta all'evasione fiscale?
Ed è follia sospettare che in un Paese nel quale ormai spadroneggia – al sud come al nord - la criminalità organizzata, in continua espansione nel traffico di stupefacenti, di esseri umani, nell'usura, nel gioco d'azzardo legalizzato, negli appalti pubblici (grazie ai tanti esponenti politici che riesce a far eleggere e dominare), la strategia che si è dato incarico ad Equitalia di portare avanti rappresenta uno strumento attraverso cui offrire la possibilità alle cosche criminali di strozzare con l'usura gli imprenditori in crisi e di impossessarsi di imprese e beni confiscati e messi all'asta?
Nessun commento:
Posta un commento