di Andrea Demontis
Maledetto George Orwell e chi gli diede in mano la penna, non immaginava (o forse si) di aver scritto le linee guida di un partito che sarebbe nato mezzo secolo dopo. Sbagliò di qualche anno la data con cui intitolare il suo capolavoro “1984”: 1994 o 2010 sarebbero state due date sicuramente più opportune.
La conferenza stampa tenuta in Via dell'Umiltà (anche se “Via della Prepotenza” sarebbe stata una sede più consona) dal presidente del Consiglio nella mattinata di ieri, è stata luogo di un ennesimo tentativo volto a ribaltare le verità dei fatti. Silvio Berlusconi è un bugiardo cronico, un mentitore professionista. Jim Carrey in “Bugiardo bugiardo”? Un ragazzino alle prime armi, un pivello. Il monologo del premier è stato uno strazio, il fatto che milioni di persone credano ciecamente a quello che dice e pendano letteralmente dalle sue labbra rappresenta invece un miracolo della fede. Berlusconi racconta la sua versione dei fatti, la sua verità, attribuendo le colpe del mancato ingresso del suo partito nelle liste elettorali del Lazio a giudici, funzionari e comunisti travestiti da radicali o viceversa. Ammettere che all'interno del suo partito ci siano delle guerre intestine che hanno portato a questa situazione sarebbe un primo passo verso la redenzione, ma lui no, tornare sui propri passi non è un concetto contemplato da chi ha intenzione di riscrivere la storia, la sua storia.
Già l'esordio non ammette repliche: “Intendo fornire una ricostruzione fedele (…) e incontroversibile (…) dei fatti, depurati da tutte le versioni inveritiere ed interessate diffuse da certa stampa. Dico subito che in quello che è accaduto non vi è stata alcuna responsabilità riconducibile ai nostri dirigenti e ai nostri funzionari. Dalla ricostruzione che mi accingo a farvi si evince con chiarezza che ai delegati Pdl del Lazio è stato impedito di presentare le liste con comportamenti ed atti ben precisi. I nostri rappresentanti si trovavano all’interno degli uffici ben prima del termine previsto. Infatti questa la cronistoria”. E via con una ricostruzione a dir poco fantasiosa dei fatti, caratterizzata da degli squilibrati radicali che si rotolavano per terra disorientando Milioni e Polesi, e da un magistrato, Anna Argento, che pareva essere più un comandante della Gestapo che un funzionario dello Stato, colpevole di aver fatto rispettare la legge, la forma, e non la quella tanto pubblicizzata sostanza che fa rabbrividire gran parte dei giuristi e costituzionalisti della penisola. E' il classico caso, per dirla con Casini, dell'alunno che viene bocciato a fine anno e, invece che prendersela con se stesso per non aver studiato, attacca i professori rei di aver organizzato un complotto a suo danno. Berlusconi mente, straparla, e, in barba a tutti i rapporti, i fatti accertati e le sentenze, antepone la sua realtà a quella accertata dei fatti. Mente in diretta nazionale, e lo fa davanti a milioni di persone che lo ascoltano. Mente al popolo italiano, quello che lo vota, lo fa da quindici anni.
E se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, c'è sempre chi ha nostalgia dei tempi passati, di quei tanto infangati e ripudiati anni trenta, all'interno dei quali avrebbe voluto ricoprire un ruolo da protagonista, ma, ironia della sorte, è nato nel '47, a giochi ampiamente chiusi.
Gli istinti squadristi non si cancellano con il tempo, né si riesce a camuffarli con una camicia azzurra invece che nera o salutando i conoscenti con una stretta di mano invece che con il saluto romano. E quando Rocco Carlomagno, un “giornalista” freelance, si è permesso di rivolgere una serie di domande scomode al premier, domande che non rientravano nel canovaccio deciso precedentemente, domande diverse da quelle che i “giornalisti” (si, anche loro tra virgolette) formulavano nei confronti del Ministro della Verità, si è reso infelice protagonista della conferenza un omino baffuto che, con il piglio del più temuto dei buttafuori, si è permesso di aggredire il povero Carlomagno. Non uno della sicurezza, non un cristiano di due metri con le spalle possenti, ma il nostro attuale Ministro della Difesa (quella del premier) con una serie di strattoni e di minacce culminate in un “Adesso vieni fuori con me” ha pensato bene di conferire ancora maggior lustro alle istituzioni della “Repubblica del male minore”. Ignazio La Russa, con il pugno di ferro nel taschino e il manganello sotto la giacca, si è issato a capostipite di quella politica della forza, della prepotenza, dell'intolleranza verso chiunque non si assottigli al volere del più forte. Ha fatto una figura misera, da squadrista di altri tempi, e d'altronde sappiamo bene chi sia e che cosa sia La Russa: un povero nostalgico che la notte, prima di andare a dormire, prega inginocchiato di fronte ad una gigantografia del duce. Vederlo indignato, poi, quando Carlomagno lo accusa di essere un picchiatore fascista, dimostra come questi relitti della politica vogliano mascherare in pubblico i loro istinti primordiali, pur non riuscendoci. E' più forte di loro, fascisti son nati e lo rimarranno.
Nel frattempo, mentre Berlusconi e La Russa dipingevano questo quadretto in stile Repubblica di Salò, quella rompicoglioni della democrazia prendeva un altro ceffone di quelli che fanno male per mesi. Il parlamento, nella baraonda generale, ha approvato la legge sul legittimo impedimento, palesemente incostituzionale, ma poco importa. Prima che la Consulta possa pronunciarsi in merito, Berlusconi si sarà probabilmente autoproclamato Re d'Italia, o imperatore, o Re Sole, fate voi.
Al Quirinale c'è un nonnetto con le babbucce e il pigiama tricolore che già ripassa la Carta Costituzionale, questa volta non vuole arrivare impreparato all'appuntamento. Qualcuno, però, gli interroghi i 139 articoli a salti, commi inclusi. E se dimostrerà di non aver studiato a sufficienza, gli tolga la penna di mano, non vogliamo nuovamente imbatterci nel temibilissimo George, meglio conosciuto come “l'autografo più veloce del west”.
Fonte: http://www.facebook.com/note.php?note_id=358289144353
Nessun commento:
Posta un commento