Alcune considerazioni sul bullesco
anatema lanciato da Bersani alla festa del PD contro Grillo e Di
Pietro (e tutti gli altri che contrastano il partito democratico e
che dunque necessariamente sono dei populisti)
appellandoli fascisti del web.
Bersani non può far
finta di ignorare, perché è un dato di fatto, l'odio montante
in una vasta parte della società italiana verso la nomenklatura
politica – di destra e di sedicente sinistra - e le classi
dirigenti, quelle che ci hanno condotto al baratro, quelle che si
sono spartite da decenni i beni pubblici ed hanno calpestato il bene
pubblico, quelle che hanno trasformato questo Parlamento in un
consesso di cui la maggioranza delle persone perbene si vergognerebbe
di fare parte, quelle che hanno deciso che la crisi dovesse essere
fatta pagare ai più poveri ed ai più deboli per di più
costringendoli a sorbirsi le lezioncine carognesche di professorini
come Monti e la Fornero.
A questo odio, risentimento, rancore,
rabbia – che derivano anche dalla disperazione e dal senso di
impotenza - la Politica avrebbe dovuto dare delle risposte, avrebbe
dovuto dare all'amministrazione della cosa pubblica una svolta reale diretta ad abbattere privilegi intollerabili e realizzare
e perseguire almeno un briciolo di giustizia sociale, di moralità e
di legalità ed invece, mentre progetta una legge elettorale il cui
unico scopo è quello di contenere e depotenziare il probabile
successo di consensi di movimenti e liste alternative, sa solo
aggrapparsi a vecchie abitudini propagandistiche usando categorie
della politica - destra e sinistra, antipolitica, fascismo,
qualunquismo, populismo - che quando scisse dalla concretezza dei
fatti non possono che rafforzare le ragioni di chi ne rifiuta la
validità e l'attualità.
Cosa siano destra e sinistra (e se
abbia ancora senso contrapporsi tra due visioni del mondo e due
diverse scelte di campo), cosa siano politica ed antipolitica, sono
argomenti di discussione che rientrano nel novero dell'opinabile a
cui tanti si dedicano con impegno (si veda al riguardo la polemica
Fatto Quotidiano-Repubblica e gli interventi di Padellaro
e Travaglio).
Ma ciò che esce dall'ambito delle
convinzioni personali e rientra in quello della verità storica sono
le responsabilità politiche e morali del partito di D'Alema, Bersani
e Veltroni nell'ascesa e nella permanenza al potere di Berlusconi,
aver progettato più volte con questo eversore riforme
costituzionali, aver dimostrato nelle esperienze di governo
dell'Ulivo quanto poco avessero a cuore le istanze popolari (e basta
citare la legge Treu che aprì la strada alla precarizzazione del
lavoro), fino all'attuale esperienza del governo Monti, in
maggioranza appunto insieme a Casini e Berlusconi, che affronta la
crisi in una logica prettamente di destra e a favore dei poteri
forti.
Sarebbe bello se vivessimo in un Paese
in cui tutte le parti politiche potessero riconoscersi
reciprocamente, pur nella differenza delle soluzioni proposte,
l'obiettivo di raggiungere il bene comune ma così non è: l'Italia
resta
divisa tra sommersi e salvati, tra plebi abbandonate al proprio
destino e ceti parassitari.
Pretendere che quando vi sono persone
che si danno fuoco per la disperazione accanto ad altri che vivono
con 30.000 euro di pensione non vi sia spazio altro che il
politically correct è ridicolo e offensivo: ci manca solo che anche
Bersani, dopo Berlusconi, dia vita al partito dell'amore contrapposto
al partito dell'odio.
Grillo e Di Pietro possono piacere o
non piacere ma esistono ragioni concrete nel loro successo e nella
loro popolarità e cioè che quei bisogni e quel malcontento che
non trova spazio nei partiti 'responsabili' deve necessariamente
riemergere in qualche modo.
Se c'è una “cosa
seria” che andrebbe detta a sinistra è che il problema non è
l'alleanza con l'UDC (in tempi eccezionali si può governare insieme
anche con i propri avversari) ma che non si può costruire
un'alternativa in una coalizione egemonizzata dal PD che usurpa e
infanga gli ideali della sinistra del quale diventano complici tutti
coloro che ad esso intendono accodarsi (SEL di Vendola e sembrerebbe
addirittura i comunisti italiani di Diliberto).
Ben vengano gli appelli fondati sulle
buone idee ed i buoni sentimenti ma la politica non può fare a meno
di fondarsi sui rapporti di forza e sugli interessi dei ceti sociali
che si vogliono rappresentare (ed in questo momento, piaccia o meno,
il pallino dell'alternativa
è in mano a Grillo e alla Fiom) altrimenti si rischia solo di fare
confusione riaccreditando l'equivoco di un PD necessariamente al
centro della sinistra.
Nella giaculatoria di Bersani si può
poi rilevare un'ostilità preconcetta nei confronti del web. Non
credo come scrive Gilioli
che il leader del PD non comprenda il valore di internet e
addirittura non sia in grado di interpretare il presente. Credo
invece che per Bersani, così come per Berlusconi, sia assolutamente
intollerabile che esista un “luogo” ed un “mezzo”
dell'informazione che non si può controllare e manovrare, come le
televisioni e come i giornali tutti in mano al potere salvo poche
eccezioni quali Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto.
A proposito di eterogenesi dei fini
(gli scopi per cui è nato internet e le funzioni a cui deve
assolvere) il web rappresenta oggi l'unico spazio di libertà
informativa, il luogo dove è possibile fare le pulci a tutte le
dichiarazioni, le decisioni e i comportamenti del potere, dove
diffondere opinioni fuori dal coro, dove le notizie non vengono
fruite passivamente come in televisione ma devono essere sottoposte
alla discussione pubblica, vivisezionate ed analizzate.
In qualche modo le montagne e i boschi
virtuali in cui dar vita ad una nuova resistenza. E per quanto
riguarda le persone che al di là del web sono scese nelle piazze per
manifestare il proprio dissenso e le proprie idee ricordiamoci di
Genova 2001, dei manifestanti No-Tav e degli operai di tante aziende
in crisi presi a bastonate dalle forze dell'ordine ed incriminati per
la propria protesta.
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