Non dice nulla di particolarmente nuovo
e sorprendente Roberto Saviano nel suo ultimo articolo
sulla relazione tra capitali originati dalle attività criminali e la
crisi finanziaria internazionale. Secondo Saviano le ingenti risorse
gestite dalle varie mafie che operano nel mondo da un lato sono parte
dei flussi finanziari attraverso i quali si realizzano le pratiche
speculative, dall'altro costituiscono un elemento di inquinamento e
di distorsione dell'economia mondiale contribuendo in modo decisivo a
soddisfare i fabbisogni di liquidità del sistema finanziario
internazionale e venendo utilizzate per un comodo e poco costoso, in
tempi di recessione, shopping (anche attraverso la pratica
dell'usura) dei cespiti immobiliari e delle attività produttive che
costituiscono l'economia reale.
Cose già risapute dunque ma che
dovrebbero essere assolutamente prese in considerazione,
congiuntamente alle stime sull'entità dei capitali nascosti nei
paradisi
fiscali valutati almeno 21 mila miliardi di dollari pari alla
somma del PIL di USA e Giappone, per capire quali soggetti e quali
interessi, in misura non marginale e secondaria, si nascondono dietro
i mercati, dietro le oscillazioni dei titoli azionari e di quelli del
debito pubblico e contestare quella visione metafisico-religiosa del
liberismo che attribuisce ai mercati il ruolo di arbitri e giudici
imparziali della validità e dell'adeguatezza delle strategie
economiche degli Stati, mercati da rassicurare e ingraziarsi e dai
quali far dipendere le decisioni politiche che competono alle Istituzioni democratiche e la vita delle persone e dei popoli.
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