Per l'ennesimo volta il governo Monti
ci ammannisce l'ennesimo programma per la crescita.
Se, dopo quasi dieci mesi dal suo insediamento, stiamo ancora
all'inizio della fase due, pur annunciata un'infinità di volte, ed
al libro dei sogni (capitalistico) della riduzione della spesa
pubblica, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, della
riforma della burocrazia, della riduzione delle tasse è perché il
governo Monti (debbono riconoscerlo persino le agenzie di rating e
Bersani) non ha fatto nulla dal punto di vista dello sviluppo
economico e dell'occupazione.
Nessuno degli obiettivi che
incardinavano il suo programma – rigore, equità, sviluppo – è
stato realizzato. Dal punto di vista degli effetti del rigore
finanziario lo spread è rimasto grosso modo agli stessi livelli
berlusconiani; per quanto riguarda l'equità, la crisi ed il
tentativo di risanamento è stato addossato quasi esclusivamente sui
ceti popolari (pensioni, articolo 18, assenza di sostegni al lavoro,
colpevolizzazione del pubblico impiego, stretta ai servizi sociali,
IMU sulla prima casa, aumento del costo della vita a partire dalla
benzina); infine per ciò che attiene alla crescita siamo in piena
recessione ed anche le ottimistiche previsioni delle agenzie
di rating parlano per il 2013 di una crescita zero o addirittura di
un ulteriore riduzione del PIL di mezzo punto percentuale.
Ciascuno evidentemente è libero, ma
senza poter negare la realtà dei fatti e delle cifre, di darne la
spiegazione che ritiene più giusta: Monti è un incapace e vecchio
(per età ed idee) esponente (già consulente di Cirino Pomicino)
della classe dirigente italiana e di un mondo capitalista in crisi
sistemica; Monti sta scientemente ed efficacemente realizzando il
programma di quell'establishment finanziario che l'ha collocato alla
guida del Governo per mettere in sicurezza i propri investimenti
finanziari e porgli su di un piatto d'argento, a prezzi d'affezione,
le ricchezze pubbliche del nostro Paese; Monti è stato bloccato
nella sua azione di riforma dai veti della casta partitocratica.
In ogni caso gli annunci di
provvedimenti, reiterati a cadenze regolare e presentati ogni volta
come improcrastinabili, risolutivi, decisivi per il superamento dei
problemi italiani e l'uscita dalla crisi sta ad indicare da un lato
la mediocrità e l'attitudine alla menzogna, alla stessa stregua di
navigati politici, dei tecnici e dall'altro che rispetto alle
contraddizioni insanabili del capitalismo italiano e mondiale le
ricette adottate sono sbagliate ed inadeguate.
Così la Fornero aveva giustificato la
riforma delle pensioni e dell'articolo 18 come necessarie per le
giovani generazioni ed ora ammette, al meeting di CL, che per i
giovani si è fatto poco o niente; Passera aveva esposto un programma
per la crescita che avrebbe dovuto mobilitare 100 miliardi di euro ed
ora riconosce che siamo ancora al punto di partenza, sulle
liberalizzazioni Monti era già intervenuto con il decreto
“Crescitalia” promettendo mirabolanti performance nella crescita
dell'occupazione, dei salari e del pil ma anche qui evidentemente si
trattava solo di un bluff.
Ribadisco manca la capacità e la
volontà di sciogliere i nodi delle contraddizioni in cui è immerso
il sistema economico capitalistico.
Austerità e Crescita.
L'austerità, adottata per fare fronte alla crisi del debito
pubblico, crea recessione e dunque aggrava la crisi finanziaria dello
Stato che si ritrova con minori entrate fiscali e maggiori spese per
indennità di disoccupazione e cassa integrazione. L'attuale
architettura dell'euro impedisce
all'Italia di poter utilizzare gli abituali strumenti di politica
economica e monetaria per finanziare – a debito e con emissione di
nuova moneta - le spese dello Stato, gli investimenti e gli incentivi
all'economia rendendola prigioniera della speculazione dei mercati.
Alla fine tutti i pomposi piani per la crescita si infrangono ogni
volta contro i niet dei Ministri dell'Economia - ieri Tremonti oggi
Grilli, suo vecchio direttore generale al Tesoro, dopo l'interim di
Monti – che non possono che ripetere, schiavi dell'ideologia
liberista, che non ci sono soldi.
La
spending review. La
revisione della spesa dello Stato (che diventa spending review per
dare un tono modernista e per mascherarne il fatto che in mano ai
tecnici e a Monti si traduce in aggressione al welfare), peraltro fin
qui utilizzata unicamente per garantire il pagamento degli interessi
sul debito pubblico e raggiungere il pareggio di bilancio (nel quale
pesa, vale la pena di ricordarlo, l'apporto di decine di miliardi
di euro che lo Stato italiano deve alle istituzioni di 'salvataggio' europee
quali l'ESM) senza ulteriori incrementi della pressione fiscale
(l'IVA), non fornisce risorse aggiuntive al sistema per incrementare
consumi e investimenti. Anche se la riduzione della spesa dello Stato
si traducesse in minori tasse, per i cittadini e le imprese, non
finirebbe per essere altro che una partita di giro: meno Stato
sociale e meno sovvenzioni alle imprese in cambio (forse) del
pagamento di meno imposte. Ed è tutto da verificare per quali soggetti si produrrebbe un saldo positivo.Tutt'altra cosa sarebbe una revisione e riqualificazione della spesa pubblica finalizzata al trasferimento di
risorse dagli impieghi parassitari – spese militari, opere
pubbliche inutili, caste politiche, corruzione, 'fannulloni' presenti
nel pubblico impiego – a quelli economicamente e socialmente
giusti.
Evasione fiscale e competitività
delle imprese. L'evasione
fiscale è per l'Italia uno dei grandi fattori di inquinamento e
distorsione dell'economia e della giustizia sociale. Però bisogna
sapere, se si ragiona nell'ottica del 'mercato', che facendo
riemergere il 'nero' e ottenendo da imprese, professionisti,
artigiani, padroncini il pagamento delle tasse dovute gran parte di
quei soggetti imprenditoriali sarebbero destinati al fallimento.
Riforma burocratica e
modernizzazione dello Stato. Di cosa avrebbe più bisogno
l'Italia se non di efficienza e semplificazione burocratica, di
combattere la mano morta che le caste politiche ed i
funzionari corrotti dello Stato impongono a cittadini ed imprese? Ma
come si può pensare che possa mai cambiare qualcosa in questo Paese
se quelle stesse caste sono chiamate a governare, ad amministrare la
cosa pubblica, a detenere anche con il Governo Monti il monopolio del
potere politico?
Occupazione e globalizzazione.
Cosa significa globalizzazione? Significa che di fronte alla
liberalizzazione dei movimenti di capitale, di merci e, sostanziale
anche se non giuridicamente riconosciuta per coloro che vengono da
Paesi extra UE, di lavoratori si va a produrre e ad investire dove i
profitti – per minori costi del lavoro, vincoli legislativi e
ambientali, tutele sindacali, imposizioni fiscali – sono maggiori e
si impiegano i lavoratori che accettano salari e diritti più bassi.
Cosa dovrebbe inventarsi, cosa dovrebbe accettare l'Italia per
tornare ad essere attrattiva per gli investimenti e la produzione?
Crescita e limitatezza delle
risorse. Quale cosa è più
evocata, inseguita, auspicata della crescita? Ma quante automobili,
lavatrici, frigoriferi, televisori dovrebbero riuscire a vendere le
nostre industrie per riprendere la crescita? Quante grandi opere
dovremmo realizzare? Quanti tratti di mare dovremmo trivellare e
devastare alla ricerca del petrolio e del gas naturale? Cosa dovremmo
fare, a quali garanzie – in termini di diritti, sicurezze, salari -
dovremmo rinunciare, quali progressi tecnologici dovremmo fare per
vincere la concorrenza di Paesi come la Cina, l'India, la Corea?
Quanto territorio dobbiamo continuare a consumare? Per quanto tempo
ancora potremo ignorare l'importanza del paesaggio e dell'ambiente?
Per quanto tempo ancora potremo ignorare il riscaldamento globale,
l'inquinamento e l'esaurimento delle sorgenti di acqua, la
limitatezza delle risorse naturali e delle fonti di energia fossile?
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