Se si ripercorre la storia d'Italia
andando indietro con la memoria per gli ultimi venti o trent'anni,
e soprattutto dopo la fine del regime comunista sovietico, si troverà
che la lotta per il potere si è dipanata, in una sostanziale
continuità, non tra i rappresentanti dei ceti popolari e quelli dei
prenditori dei profitti e delle rendite ma tra coloro che risultano
l'espressione da un lato di almeno parte del grande capitale
finanziario e industriale, italiano e straniero, e dall'altro delle
lobby, confraternite, logge, corporazioni, cricche, mafie o comunque
le si voglia chiamare che caratterizzano il nostro Paese e le danno
una connotazione feudale.
Cuccia contro Sindona, finanza laica
contro finanza cattolica, De Mita contro il CAF di Craxi, Andreotti e
Forlani, De Benedetti e Repubblica contro Berlusconi editore, Prodi,
Ciampi, il PD e l'Ulivo contro Berlusconi politico. Con Agnelli e il Corriere della Sera in una posizione centrale e di mediazione.
Gli uni hanno usurpato, in termini di
valori e di principi e di asserita rappresentanza sociale, i panni
politici della sinistra ed il ruolo di difensori dei lavoratori
dipendenti, gli altri hanno costituito una destra dalle
caratteristiche tutte italiane cavalcando gli istinti
individualistici, le rivendicazioni localistiche, la pretesa di
negazione dei diritti civili e di ostilità nei confronti delle tasse
e delle regole dello Stato.
Non si spiega così il fatto che le
privatizzazioni, le liberalizzazioni, l'adozione dell'euro e
l'integrazione nel mercato comune, l'accettazione supina della
globalizzazione siano state opere della 'sinistra' più che della 'destra'?
Un capitalismo di sinistra contro un
capitalismo di destra che dà conto dell'imbastardimento di tali
definizioni – destra e sinistra - ormai spesso considerate
incomprensibili e anacronistiche, per di più calate nella dittatura
del turbo capitalismo finanziario, dell'esproprio della politica e
della volontà popolare da parte dei mercati e delle organizzazioni
economiche sovranazionali.
Due partiti, due gruppi di potere e di
interesse certo non perfettamente distinti e separati tra loro, ma
con ampie zone di contiguità e di sovrapposizione e comunque con la
vocazione al compromesso, ad un'utile convivenza, all'inciucio, alla
spartizione dei benefici del potere.
L'esperienza Monti sotto la regia di
Napolitano può essere interpretata anche come il compromesso storico
tra questi due gruppi di potere.
Lette attraverso questa interpretazione
è possibile inoltre dare un senso logico alle parole di Bersani, altrimenti
vera contraddizione in termini, che si candida alla guida della
coalizione alternativa alle destre ma non a Monti rivendicando anzi
la continuità con l'azione brutalmente di destra del suo Governo.
Siamo ancora una volta di fronte alla
abituale contrapposizione tra i due soliti blocchi di potere che
conculcano entrambi, al di là della falsa rappresentazione delle idee di destra e sinistra, le
giuste rivendicazioni dei ceti popolari.
Sono emblematici, da questo punto di
vista, i dieci punti della carta di intenti del Partito Democratico
dalla cui lettura emerge in tutta la sua ampiezza la mediocrità, la
spudoratezza, l'attitudine alla menzogna del ceto dirigente di quel
partito.
Mediocrità perché di fronte
all'arrembante e inarrestabile diffusione dei sentimenti anti-casta
ed anti-partiti, al crescente consenso che acquistano i partiti di
opposizione radicale, alla riorganizzazione inevitabile a cui
assisteremo nei prossimi mesi della destra berlusconiana, riproporre
le stesse formule, gli stessi slogan, per di più con il fardello
delle fallimentari ed antipopolari politiche del governo Monti,
denota una irresistibile vocazione a perdere.
Spudoratezza e menzogna per il
contenuto dei dieci punti della carta di intenti.
Come si fa a parlare di centralità del
lavoro per chi ha votato la controriforma delle pensioni e lo
smantellamento dell'articolo 18 e per chi tra Marchionne e la Fiom si
è schierato dalla parte del primo?
Come si fa a parlare di beni comuni per
chi sostiene le privatizzazioni ed ha votato i provvedimenti al
riguardo del Governo Monti rivolti in particolare agli enti locali e
ai servizi pubblici da essi svolti con imposizioni di carattere
giuridico e strozzandoli finanziariamente con il taglio dei
trasferimenti dallo Stato centrale?
Come si fa a parlare di rafforzamento
dello stato sociale quando si è messo in Costituzione il
divieto delle politiche keynesiane ed accettato il Meccanismo Europeo di Stabilità che obbligherà
l'Italia all'austerità per i prossimi vent'anni?
Come si fa a parlare di alternativa al
capitalismo finanziario e di uguaglianza quando non si ha alcuna intenzione di mettere
in discussione il modello economico dominante caratterizzato da una determinata distribuzione della proprietà dei mezzi di produzione?
Come si fa a parlare di difesa
dell'ambiente quando si è favore della TAV, degli inceneritori e si
continua ad inciuciare in tutte le città che si amministrano con gli
speculatori edilizi?
Come si fa a parlare di diritti civili
quando si cerca l'accordo con i clericali e non si mette in
discussione l'influenza del Vaticano? E in ogni caso le unioni
civili, il diritto dei gay a contrarre matrimonio, il diritto di
scelta su come porre fine alla propria vita non sono qualcosa che
possano identificare un programma di sinistra. Si tratta
semplicemente di elementi di civiltà che anche una destra normale
non farebbe fatica a sottoscrivere.
Per quanto riguarda SEL ciò che gli va
contestato è la decisione di allearsi in posizione subalterna a
questo PD, ci sia dentro o meno nella futura coalizione anche l'UDC.
Nella nascita di SEL, attraverso la
scissione da Rifondazione Comunista, si sono materializzati e
incontrati due diversi disegni politici.
Quello del PD, ormai definitivamente in
marcia verso posizioni moderate e centriste, a cui faceva comodo la
nascita di una compagine di sinistra 'responsabile' e di governo,
senza 'fissazioni' legalitarie o nostalgie comuniste, che potesse
coprirgli il fianco sinistro togliendo voti a partiti non compatibili
e di disturbo alle proprie priorità di governo quali IDV e FDS. E in
cambio poteva offrire ai vendoliani, rinunciando alla vocazione maggioritaria di
Veltroni, il ritorno in Parlamento e la visibilità
delle primarie anche se questo comportava dover rinunciare a qualche
candidatura e a qualche poltrona nelle amministrazioni locali.
E quello di Vendola che, uscendo da ciò
che ormai doveva considerare come il ghetto della sinistra radicale,
poteva coltivare l'ambizione di poter conquistare attraverso le
primarie la leadership del centrosinistra, facendosi forte delle
reminiscenze progressiste di almeno parte degli elettori del PD, così
come del resto realizzatosi con le elezioni di sindaci quali Pisapia,
Zedda, Rossi Doria.
Ragionare di alleanze, leaders, forme
di organizzazione politica, strategie non è cosa disdicevole se è
funzionale ad una idea alta della politica intesa non come mezzo per
l'occupazione del potere ma come governo della società per la
soddisfazione dei bisogni delle persone.
Ed in questo senso vi sono condizioni
storiche in cui si possono accettare anche alleanze disinvolte e
apparentemente discutibili, anche con forze che recano visioni
contrapposte alla propria.
Parlare di centrosinistra, pur avendo ben presente il bisogno di non ripetere le esperienze moderate e centriste dell'Ulivo, poteva avere
un senso quando l'orizzonte era costituito dalla necessità di
costruire una grande alleanza antiberlusconiana per estirpare dalla
politica italiana la vergogna del governo del padrone di Mediaset ed
impedirgli di conquistare la presidenza della repubblica. Ma tutto è
cambiato dopo l'esperienza Monti, appoggiato da una maggioranza che
ha visto insieme PD, UDC e PDL, e le ipoteche che sono state poste
sul futuro dell'Italia – con la prospettiva di un'infinità
austerità resa cogente dalla ratifica di trattati internazionali e
la sudditanza alle regole imposte dalle organizzazioni finanziarie
sovranazionali - dalle quali né il PD né l'UDC hanno alcuna
intenzione di tentare di liberarsi.
Entrare ora, come ha deciso Vendola,
in posizione subalterna nell'alleanza con il PD, senza nemmeno aver
coalizzato tutte le forze di sinistra per trattare da una posizione
di forza o almeno di parità con i propri interlocutori, non offre alcuna prospettiva di cambiamento in direzione dei bisogni
dei ceti popolari.
La parabola di Vendola si concluderebbe
nel ridursi ad un novello Saragat dando a SEL il ruolo di partito
satellite della nuova Democrazia Cristiana, il PD.
Come potrebbe cambiare la linea
politica del PD la vittoria di Vendola alle primarie, che tra l'altro
non sappiamo nemmeno se saranno rese possibili e necessarie dalla
legge elettorale in vigore al momento del voto? Anzi l'accettazione
della candidatura di Vendola come Premier costituirebbe proprio la
merce di scambio per non modificare di una virgola il programma del
PD (e l'effettiva assunzione del ruolo di capo del Governo dovrebbe
poi passare dalle forche caudine dell'UDC, del Vaticano, delle
compatibilità europee). E a cosa servirebbe quella vittoria nella
prospettiva assai probabile di riconferma del governo di unità
nazionale a guida Monti o di qualche altro tecnico nella prossima
legislatura?
La defezione di Vendola, per quanto mi
riguarda tutt'altro che sorprendente, non fa che rafforzare la
necessità, per chi auspica la nascita di un'alternativa a questo
sistema economico, politico e sociale, di un'alleanza tra tutte
quelle forze politiche e quei movimenti che si pongono l'obiettivo,
attraverso la rappresentanza dei ceti popolari e dei lavoratori, di
un vero cambiamento.
Ma si tratta di qualcosa che al momento
è ancora tragicamente solo una speranza.
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