E' possibile (è utile) leggere la
questione dell'ILVA di Taranto secondo le logiche di destra e
sinistra?
La tutela della salute, il ritenere che
un'attività economica non può produrre malattia e morte, che i
funzionari pubblici e i politici debbano svolgere il proprio ruolo
con disciplina e onore, indenni dalla tentazione di farsi corrompere,
non sono valori di destra o di sinistra sono semplicemente valori
umani, delle persone razionali, oneste, in buona fede, al di là e al
di sopra di ogni visione ideologica.
Il fatto che il PD e Vendola siano
corresponsabili dello scempio di Taranto, anche per l'inerzia con cui
l'hanno affrontato pur avendo la responsabilità del governo della
Regione Puglia, non può essere interpretato come il fallimento della
sinistra - equiparata alla destra nella subalternità alla religione
del profitto, della produzione, del pil - ma significa semplicemente
che quei partiti non hanno la capacità, per inettitudine o altro, di
rappresentare i bisogni delle persone e l'ideale della sinistra del
primato del bene comune.
Piuttosto, proprio usando le categorie
di destra e sinistra, non si deve ritenere che i casi dell'ILVA ma
anche dell'eternit e della Thyssen, e si potrebbe estendere il
ragionamento alla speculazione finanziaria e a Big Pharma, siano
intimamente connessi e legati ad un sistema economico fondato sul
dominio privato anziché sulla proprietà o almeno il controllo
pubblico, democratico, partecipato, collettivo dei mezzi di
produzione (cosa quest'ultima che non coincide con il capitalismo di
stato di stampo sovietico o cinese o con le partecipazioni statali
democristiane o dominate dalle cricche in epoca berlusconiana)?
Esempi di crimini economici e
finanziari che non sono le eccezioni e le distorsioni di un mercato
utopicamente perfetto ma la regola di un sistema che consente a
soggetti privati di raggiungere dimensioni enormi, talvolta più
grandi degli Stati stessi, negando il presupposto stesso della
democrazia fondata sul principio una testa-un voto.
Sta qui, nella titolarità del potere
di muovere i fili del quanto produrre, come produrre, dove produrre,
cosa redistribuire quale ineludibile strumento per raggiungere
l'eguaglianza e la liberazione dal bisogno ed anche in funzione della costruzione di un diverso sistema economico che dia conto del limite delle risorse, la vera linea di
demarcazione, a mio avviso, tra destra e sinistra e questo mi
fornisce l'occasione per riflettere per l'ennesima volta sul perché
la sinistra, ed evidentemente non mi riferisco con questo termine a
Bersani e Vendola, non riesca più a rappresentare un'alternativa -
credibile e condivisa largamente tra le masse popolari - a questo
sistema. Mi riferisco a quel modello ideale di società che offre a
tutti gli individui, in un contesto di libertà civili, politiche, di
espressione del pensiero, l'opportunità anche materiale di esprimere e realizzare, su di un piano di eguaglianza,
la propria personalità, il proprio talento, le proprie capacità ed
i propri meriti.
Nel quadro mondiale della crisi della sinistra, sempre più omologata alla
destra nella resa alla supremazia del turbo capitalismo finanziario,
esiste in effetti uno specifico italiano nel quale persino il timido
socialdemocratico Hollande è un lontano miraggio e dove prevale una
passività disarmante delle classi lavoratrici e dei ceti popolari di
fronte a politiche che ne spazzano via redditi e diritti addossando
loro tutto il costo dei tentativi di risanamento.
E' difficile conoscere e valutare situazioni lontane dalle nostre ma è
sotto gli occhi di tutti, solo per portare degli esempi, la
differente reazione – con manifestazioni di piazza ed iniziative
politico elettorali (Syriza) - della società greca e di quella
spagnola rispetto a quella italiana.
In Italia dobbiamo accontentarci di ambigui surrogati della sinistra
quali il Movimento 5 Stelle o l'Italia dei Valori, di una coalizione
PD-SEL che sventola (svendola) bandiere progressiste sempre più sbiadite mentre di fatto si propone di operare in continuità con
la politica del governo Monti, di una pletora di formazioni di
ispirazione comunista condannate all'ininfluenza ed alla marginalità
tra cui la più grande (la Federazione della Sinistra) raggiunge nei
sondaggi a mala pena il due per cento dei voti, di una serie di
iniziative politiche – tutte lodevoli – quali Alternativa, gli
ecologisti, il cartello delle liste civiche che pur agendo
indiscutibilmente nel solco della sinistra si sottraggono quasi
sdegnate a tale collocazione.
Ignavia del popolo italiano e tramonto dell'idea di sinistra sono fenomeni
che si sommano e si sostengono reciprocamente.
Al riguardo si possono addurre e formulare tante ipotesi e spiegazioni:
l'ancora migliore condizione economica della maggior parte degli
italiani, con il loro tesoretto di risparmi e con il polmone di
economia in nero che continua a rifornire le magre casse di tante
famiglie, la minore durezza (o quantomeno la loro diluizione nel
tempo) delle misure del governo Monti rispetto a quelle imposte dalla
Troika a Grecia e Spagna, il carattere individualista,
l'insufficiente identificazione nello Stato, il debole senso civico e
la scarsa fiducia nelle azioni collettive da parte di un popolo
abituato – da divisioni e dominazioni secolari – a ricercare la
sopravvivenza o il successo personale attraverso l'arte di
arrangiarsi e la sottomissione e la ricerca del favore dal potente di
turno.
Ci sono quei fattori, così potenti per il nostro Paese, che ostacolano
la libera formazione della volontà popolare quali la forza del
grande capitale, il Vaticano, un'informazione in gran parte asservita
al potere, l'azione inquinante di cricche, logge massoniche, mafie.
Esistono elementi di carattere sociologico-culturale: l'uniformità di
pensieri, valori, desideri indotta dal consumismo e dalle televisioni
che conduce all'incapacità di sentirsi parte, anche per chi fa parte
dei ceti più disagiati, di una specifica classe sociale portatrice
di specifici interessi e bisogni.
Eppure se pensiamo alla controriforma delle pensioni, al problema degli
esodati, allo smantellamento dell'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori, all’aumento delle imposte (IMU e IVA) che hanno colpito
più duramente i poveri rispetto ai ricchi, al tasso di
disoccupazione in particolare giovanile, femminile e meridionale, ad
un ceto politico che mantiene privilegi di casta, all'aggressione al
pubblico impiego additato tra le principali cause della crisi, agli
ulteriori colpi inferti al welfare e al sistema scolastico pubblico,
l'accesso ai più elevati ruoli sociali che di fatto viene
determinato quasi esclusivamente dall'origine familiare ce n’è
abbastanza per dare fuoco alle polveri di una rivolta sociale.
Eppure in passato non sono mancate manifestazioni di protesta di massa –
al Circo Massimo della CGIL di Cofferati in difesa dell'articolo 18,
a San Giovanni dei girotondini di Nanni Moretti contro l'illegalità
berlusconiana, il NoBDay – mentre ora di fronte a noi c’è il
nulla assoluto, due ore di sciopero dei sindacati sulla riforma
previdenziale.
Eppure non sono mancati segnali della voglia di sinistra e della volontà di
cambiamento degli italiani: l'esito dei referendum popolari
sull'acqua pubblica e sul nucleare votato dalla maggioranza degli
elettori, l'elezione di sindaci come De Magistris, Pisapia, Zedda,
Doria, Leoluca Orlando talvolta con alleanze inedite e rovesciando i
disegni anche dell'establishment del Partito Democratico, il favore
nei sondaggi che hanno riscosso quei partiti – come SEL e IDV –
che hanno cavalcato temi tipici della sinistra. .
Esiste certo anche un problema di
inadeguatezza del ceto dirigente della sinistra, perché – anche se
vorremmo tutti una democrazia costruita dal basso e fondata
sull'iniziativa consapevole dei cittadini – è utopico pensare ad
una politica che possa fare a meno di leader capaci, autorevoli,
carismatici in grado di interpretare, anche grazie al contributo
delle analisi degli intellettuali, i bisogni e le aspirazioni dei
cittadini. Il successo del Movimento 5 Stelle, dove l'apporto dei
meetup appare francamente limitato, non è anzitutto il successo di
Beppe Grillo e non vale lo stesso per l'Italia dei Valori e Sinistra
Ecologia e Libertà?
E siamo di fronte infine ad un problema
di linguaggio: parole come socialismo e comunismo, come eguaglianza,
almeno apparentemente riescono ad affascinare solo settori marginali
dei cittadini.
E anche qui è esemplare la novità di
Grillo: con l'attacco ai partiti, con il riferimento ai problemi
concreti delle persone da risolvere con il buon senso senza
l'orientamento di alcuna ideologia, con il rifiuto del politicamente
corretto e le accuse esplicite agli avversari.
Esiste un unico ambito in cui si
esprime il ribellismo popolare ed è quello, forse non a caso per la
storia italiana, locale laddove c'è da difendere una comunità ed un
territorio – ma perché ciò coincide con il proprio interesse
privato – da una discarica, da un impianto inquinante, da un'opera
devastante.
Ecco credo che la sinistra dovrebbe
ripartire da qui, dai temi e dalle cose reali che possono suscitare
la partecipazione e la mobilitazione popolare: il reddito minimo
garantito, il diritto alla casa, la difesa dell'ambiente, la qualità
della vita e dei rapporti sociali, l'idea di una città a misura di
essere umano, l'eccellenza dei servizi sociali. Insieme alla
costruzione dal basso di una rete di legami e di opportunità
sociali, economiche, culturali che possano emanciparci dai
vincoli materiali e dagli stereotipi intellettuali che ci
imprigionano.
Se fossimo in tanti a perseguire questi
obiettivi, tutti quelli che su tanti fronti diversi si stanno già
impegnando per cambiare l'Italia, diventerebbe possibile
riconquistare le menti e i cuori delle persone per la costruzione di una società più giusta.
Da leggere, sul sito di ALBA, Alleanza Lavoro Bene Comuni Ambiente
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