di Lucia Del Grosso
C'è un uomo, nel far west padano dove si gioca alla caccia al clandestino, che ha lottato duramente per conquistarsi il benessere eppure è rimasto gentile. C'è un uomo che ha tolto il suo portafoglio gonfio da sopra il cuore per farlo respirare. L'ha alleggerito di ventimila euro per pagare la retta della mensa ai bambini più sfortunati dei suoi e poi con il cuore senza zavorra ha scritto una bella lettera.
C'è un uomo in un paese di 7.000 anime cieche che ha visto seminare il vento e ha previsto un raccolto di tempesta tra 30 o 40 anni, quando quell'infanzia offesa diventerà adulta e la farà pagare con gli interessi.
Ci sono, in un paese sprofondato nel rancore, madri sterili che negano il pane ad altri figli, con le braccia troppo corte per abbracciare bimbi con la pelle di un altro colore.
Ci sono, in quel paese geloso anche di un piatto di pasta, donne che non sanno di essere donne e vanno in SUV a portare a scuola la loro prole griffata e saettano con uno sguardo ombrettato i figli nati sotto un sole più forte o cieli più grigi. Bisognerebbe spiegarglielo, a queste qui, che un seno può essere vuoto anche se palestrato, che le loro pance piatte gli hanno soffocato l'utero, che la pillola sostitutiva gli prolunga il crepuscolo della gioventù, ma non può niente contro la menopausa del cuore. Bisognerebbe fargli un corso accelerato, a queste qui con l'utero con il filo spinato, per insegnargli che la maternità non è un fatto ostetrico, ma è un marchio dell'anima che abbiamo tutte, zitelle e maritate, sterili e prolifiche, un riflesso pavloviano che ci fa correre quando vediamo un bimbo per terra per rianzarlo e disinfettargli i graffi. Ed è uno stampo impresso nel nostro corpo che ha due tette non solo per debordare da un push up, ma pure per allattare e un grembo non solo per supporto all'ombelico, ma pure per le gravidanze. E il mistero della maternità è troppo grande per risolversi nella generazione dei figli dei nostri compagni, trascende i vincoli di sangue, si è madri sempre, tutte le volte che un essere indifeso ha bisogno di noi, senza interruzione, a casa come sul lavoro, in chiesa e in discoteca, perché la maternità non è una pancia sfatta, è uno sguardo pietoso.
E ci sono anche donne, in quel paese con troppi steccati, con la schiena spezzata dalla fatica che basta appena a procurare ai loro figli il minimo necessario. Ci sono donne in quel paese in cui non c'è nessun Cristo a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che dividono gli euro tra pranzo e cena, tra abiti e scarpe e ne mancano ancora per lo zainetto nuovo. Ci sono donne dall'utero abbrutito dalla cassintegrazione che difendono come belve il poco che hanno i loro figli. Ci sono donne con le pinze di plastica tra i capelli scoloriti che guardano i figli nati su una terra più arida o in una città più gelida con gli occhi a fessura e le pupille ristrette come capocchie di spillo. Bisognerebbe farglielo capire, a queste povere donne, che dove si offende l'infanzia nessun bimbo è al sicuro, quello che oggi tocca agli ultimi domani toccherà aii penultimi e dopodomani ai terzultimi, fino a quando non ci sarà più nessuno a cui chiedere la solidarietà. Bisognerebbe scuoterle, queste povere donne, afferrarle per le spalle e costringerle a guardare il vero nemico, che non è il figlio di una sorella sbattuta su questa terra dalla fame di un altro continente, ma sono uomini adulti in doppiopetto che siedono sugli scranni solenni di un consiglio comunale, che fomentano la guerra tra poveri perché è più facile mettere madri contro madri che farsi il culo a pensare come risolvere le contraddizioni di un territorio stressato dalla globalizzazione.
Fonte: http://www.facebook.com/note.php?note_id=398636486072&id=1821742849&ref=nf#!/note.php?note_id=398636486072
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